A Torino, per i concerti del Lingotto, si è esibito il violinista che compirà settant’anni il 27 febbraio. Il 2 Marzo suonerà a Berlino, presso la Philharmonie
di Attilio Piovano foto © Pasquale Juzzolino
Non finiscono mai di sorprendere, Gidon Kremer e la ‘sua’ creatura: la Kremerata Baltica, complesso strumentale di altissimo livello e – soprattutto – di singolare versatilità, applaudito in tutto il mondo. Sono approdati a Torino, per I concerti di Lingotto Musica, la sera di martedì 21 febbraio 2017, offrendo il programma che stanno portando in tournée: programma davvero inconsueto, confezionato secondo precisi ed anti convenzionali criteri, soprattutto, volto a festeggiare, in modo atipico, il 20° della blasonata formazione nonché il 70° del suo fondatore, lettone di nascita, ma invero cittadino del mondo. Che ha voluto celebrare il doppio genetliaco con una serie di accostamenti piuttosto singolari, secondo un progetto peraltro dalle valenze artistiche, ma anche sociali e politiche intitolato Russia: Mask and Faces ed al quale era dedicata la seconda parte della serata.
[restrict paid=true]
In prima battuta si è ascoltato Fratres, dell’estone Arvo Pärt, pagina ormai celeberrima, dalle fascinose atmosfere timbriche e dalle remote, oniriche e spesso ipnotiche sonorità; ne esistono svariate e assai dissimili versioni per differenti organici. Ovviamente l’edizione ascoltata era quella per violino, archi e percussioni ed è stato un bel modo per entrare in medias res, un brano per così dire incoativo cui la Kremerata Baltica ha fatto seguire la Sinfonia da camera n. 4 per clarinetto e archi op. 153 del polacco Mieczyslaw Weinberg, compositore singolarmente fecondo dalle travagliate vicende biografiche legate alla storia del XX secolo. Di pagina non facile si tratta, e pur tuttavia non priva di motivi di interesse composta nel 1992. In apertura un Lento dai climi cupi, luttuosi e dalla innegabile intensità. Poi un Allegro molto, teso e furioso, sferzato da una incredibile vis ritmica e propulsione motoria, in bilico tra certo Šostakovič ed atmosfere Klezmer, pagina a tratti di innegabile, appeal anche se talora un poco ripetitiva (l’intera Sinfonia soffre di una certa verbosità).
Molto attraente l’impervia cadenza di violino e violoncello che ha dato modo di imporre all’attenzione le ottime prime parti della formazione e che immette in un nuovo Adagio in gradi di evocare spazi sconfinati più russi che slavi. Infine l’appassionato lirismo del conclusivo Andantino, per lo più tetro e plumbeo: stinge sulla rarefazione estenuata dell’ultima parte. Il clarinetto gioca un ruolo solistico e concertante di indubbio pregio, ora spingendosi al grave, ora all’acuto, ora sul côté intimista, sfoggiando sonorità esasperate o traslucide. Ammirato lo sloveno Mate Bekavac per la bellezza del suono, l’appropriatezza dei fraseggi, l’eleganza complessiva e la capacità di tener desta l’attenzione del pubblico entro una pagina – occorre ribadirlo – di non facile ascolto e di non immediata presa.
Poi ecco la seconda parte, che si è inaugurata con la cajkovskijana Sérenade mélancolique op. 26 dalle elegiache atmosfere. Kremer ne ha evidenziato tutta la struggente mestizia, tipicamente russa, uscendo poi di scena in punta di piedi, mentre la Kremerata, senza soluzione di continuità e con suggestivo effetto, ‘attaccava’ ipso facto i musorgskijani notissimi Quadri da una esposizione nella per noi inedita trascrizione per archi e percussioni di Jacques Cohen e Andrei Pushkarev.
Certo una bella sfida, una sorta di intelligente ‘esercizio di stile’ dacché dopotutto vien naturale ‘confrontare’ idealmente qualsiasi nuovo tentativo con l’insuperata ed insuperabile edizione raveliana. Sfida in buona parte riuscita per la varietà di timbri che gli arrangiatori hanno saputo inventare, evitando per lo più l’effetto fotocopia in formato economico (volendo rinunciare all’intera famiglia dei fiati) rispetto alle versioni per grande orchestra (e si sa che quella di Ravel non è di fatto l’unica). E allora se in qualche brano la mancanza di ‘altri’ timbri orchestrali è palese, altrove si può ammirare la maestria tecnica; è il caso già dell’iniziale Gnomus ma anche di Bydlo che, al pari di Ravel, ‘segue’ la versione Rimskij, dunque con il cinematografico effetto di progressivo crescendo e conseguente accumulo di tensione, mentre l’Urtext di Musorgskij prevede il fortissimo iniziale (protagonista il contrabbasso a far da contraltare alla tuba prescritta da Ravel). Molto efficaci poi anche il Balletto dei pulcini e così pure Limoges, meno riusciti altri ‘quadri’ come I due ebrei o le Catacombe o Baba Yaga. Significativo che la Grande porta di Kiev sia stata eseguita a velocità assai elevata, quasi a tentare di compensare la ‘carenza’ di sonorità complessiva. Vengono meno, tuttavia, innegabilmente, la solennità e la ieratica maestosità sia dell’originale pianistico, sia della versione Ravel.
Resta il piacere di aver ascoltato un’edizione inedita, condotta con mano abile e scaltrita. E pazienza per qualche bislacco e un po’ fuori stile glissando di contrabbasso e qualche eccesso nei colpi di frusta, prevedibili e un po’ corrivi come il delirante carillon di campane finali. L’ultimo accordo andava sfumando verso il pianissimo ed ecco Kremer riapparire per proporre, dell’ucraino Silvestrov (classe 1937), la Serenata per violino solo del 2009, pagina concisa dalle vaghe risonanze neo bachiane, brano innocuo e un po’ insipido, che pur tuttavia ha avuto il pregio di incorniciare i Quadri facendo da pendant a Čajkovskij .
Ammiratissimi e festeggiati a lungo gli ottimi cameristi della Kremerata Baltica che suonando senza direttore hanno un affiatamento indicibile e una ricchezza di colori davvero unica. Ancora un bis imbevuto di pathos e infine, unica concessione divertente della serata, il secondo e conclusivo bis, ancora di Weinberg: una specie di allegra e disimpegnata Polka-Galop, un po’ circense e un po’ musica da cartoons (a cavallo tra lo Šostakovič meno impegnato e il Nino Rota più scontato), pezzo che pure – come era da attendersi – ha riscosso un gran successo, col suo facile humour, mandando tutti a nanna contenti, dopo la concentrazione richiesta da un programma provocatoriamente lontano da esteriori e trionfalistiche celebrazioni.
[/restrict]