di Santi Calabrò foto © Giacomo Orlando
«Aber ein Wurf, ein Wurf…» (Ma che mira, che mira…) esclama Adrian Leverkühn, protagonista del Doctor Faustus manniano, a proposito della Salome di Richard Strauss: opera capace di imporsi come un grande successo di pubblico pur assumendo connotazioni estetiche molto aggiornate quanto a soggetto, drammaturgia, linguaggio musicale. Modernismo e successo eclatante non sempre si accoppiano (la storia della musica del Novecento racconta a tale proposito più divorzi che matrimoni); ma quando va bene – a Strauss andò talmente bene che, come ammise, con la Salome poté permettersi la sua villa di Garmisch – la “buona mira creativa” produce un capolavoro insieme inaudito e già votato alla classicità. Per la nuova produzione della Salome a Catania, tuttavia, la “precisione” che subito si impone grazie alle geometrie volute da Pierluigi Pizzi (che firma regìa, scene, costumi) va ben oltre quella di un’opera che mescola con sapienza le sue componenti: nella sua perfetta rotondità la sfera lunare, al centro della scena, è esattamente corrispondente alla buca sottostante che rappresenta il carcere in cui è racchiuso il Battista.
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