di Francesco Fusaro foto © Mark Allan/Barbican
Un’orchestra sinfonica affiancata ad un DJ è ormai un evento che non suscita più lo stesso effetto di curiosità e di shock che poteva avere nel passato: dalle hit dello storico club acid house di Manchester, Haçienda, rivisitati in chiave classica, al recente album di Carl Craig che guarda alla carriera del produttore techno attraverso le lenti della musica sinfonica, passando per i rimaneggiamenti elettronici del catalogo Deutsche Grammophon ad opera di Matthew Herbert o Mortiz von Oswald, sappiamo ormai bene che questo curioso connubio fra due linguaggi apparentemente distanti fra loro può dar vita ad artefatti sonori di variegata qualità. Nel caso della composizione di Jeff Mills Plantes presentata per la prima volta in Inghilterra questo lunedì al Barbican Centre di Londra, tuttavia, possiamo dire di trovarci di fronte ad un esempio di altissimo ordine.
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Se esistesse un posto riservato alla categoria dei virtuosi della consolle, infatti, questo spetterebbe di diritto a Jeff Mills. DJ dagli inizi degli anni Ottanta con il nomignolo di The Wizard (‘Il Mago’), scultore del suono techno di Detroit alla cui definizione ha contribuito in maniera determinante, dal 2006 Mills ha allargato i propri orizzonti musicali grazie all’iniziale collaborazione con la Montpellier Philharmonic Orchestra, sfociata nel disco Blue Potential. Possiamo dire dunque che il coronamento di questo interesse sia rappresentato proprio da questi Planets, omaggio alla celebre suite di Holst in chiave elettronica.
Con l’aiuto del compositore e arrangiatore Sylvain Griotto, Mills ha infatti concepito una propria sequenza astronomica divisa in diciotto sezioni, comprendenti una introduzione, nove movimenti dedicati ai pianeti (Plutone è incluso nonostante la sua natura di pianetino) e otto Loop Transit, ovvero parti a dominante elettronica ispirate alla distanza fra un pianeta e l’altro. L’opera del produttore di Detroit è infatti basata principalmente sui dati scientifici relativi ai corpi celesti e alla struttura del nostro sistema solare; l’ascolto tuttavia non sembra riuscire a catturare come questi dati abbiano informato la scrittura dei brani, a parte l’ovvia percezione delle diverse durate dei singoli movimenti.
Il rapporto fra scrittura sinfonica ed elettronica sicuramente ha un sapore concertistico: ciò che avviene nell’orchestra viene spesso replicato, riadattato e modificato da Mills stesso, grazie anche all’uso del campionamento dal vivo. Allo stesso modo, le parti elettroniche diventano lo spunto per gli slanci sinfonici che conducono all’esplorazione dei pianeti, sovento con un tocco che ricorda i colori di Dukas, Ravel e Strauss, più che Holst, nonostante l’orchestrazione sia molto simile a quella impiegata dal compositore inglese per la propria suite del 1918. Il giusto bilanciamento fra le parti, particolarmente delicato anche dal punto di vista tecnico (i musicisti erano infatti amplificati sia per garantirne il campionamento, ma anche perché fossero udibili in sala), e la qualità del suono della Britten Sinfonia condotta dall’appassionata gestualità di Christophe Mangou hanno reso giustizia ad un pensiero musicale coraggioso e raffinato, di cui non ci si può che augurare ulteriori sviluppi in futuro.
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