di Luca Chierici
Tra i titoli presentati quest’anno al Festival della valle d’Itria, l’Orlando di Vivaldi è sicuramente quello che ha riscosso maggiore successo di pubblico, vuoi per l’intrinseca bellezza dell’opera, per la sua perdurante attualità dal punto di vista musicale – parliamo di un prodotto confezionato quasi trecento anni fa ! – per la ricchezza delle scene, la cura della concertazione, la misura registica e, non ultimo, lo sforzo di investimento che ha visto la compartecipazione del Teatro La Fenice, dove l’Orlando andrà in scena nell’aprile del 2018.
È un titolo che è ben noto ai melomani almeno fin dalla fine degli anni ’70, quando uscì una preziosa edizione discografica a cura di Claudio Scimone e con la partecipazione di voci quali quella della Horne, la Valentini e di Victoria de los Angeles, seguita da una prima serie di recite a Verona. Ripreso poi in varie occasioni, anche se si tratta di un lavoro di non facile allestimento, non foss’altro per la difficoltà nel reperire un cast vocale adeguato, l’Orlando rimane un punto d’arrivo per qualsiasi teatro che si voglia cimentare con la proposta di un capolavoro del repertorio barocco che accontenta davvero tutti i gusti.
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Particolarmente apprezzata è stata quindi la scelta del festival pugliese, non nuovo a questo tipo di repertorio, che ha catalizzato la presenza di un team di tutto rispetto. La guida maestra di Diego Fasolis con i suoi Barocchisti ha pesato non poco sul risultato finale e ha assicurato una esecuzione al tempo stesso molto corretta dal punto di vista filologico (tagli a pare) e allo stesso tempo viva e tutt’altro che asettica. La struttura rigorosamente ad arie alternate per i diversi protagonisti, lungi dal rappresentare un limite espressivo, ribadiva la genialità del compositore nel caratterizzare i singoli personaggi con una musica che solo apparentemente ripete i canoni di un barocchismo generico: il miracolo consiste nello scegliere modi espressivi, talvolta organici preziosi (come l’aria di Ruggiero «Sol per te mio dolce amore» con flauto obbligato) per definire entro gradi di libertà relativamente angusti il carattere dei singoli ruoli. Caratteri ai quali tutti gli interpreti di questo Orlando hanno saputo sia vocalmente che scenicamente prestare la loro arte interpretativa. Sonia Prina ha prestato la propria voce e la propria grande esperienza per delineare un Orlando forse più impressionante dal punto di vista scenico che squisitamente canoro (come dimenticare la Horne ?); Lucia Cirillo è stata un’Alcina più imperiosa e perfida che grande ammaliatrice; Riccardo Novaro un Astolfo perentorio e completamente immerso nella parte; Loriana Castellano (Bradamante), Michela Antenucci (Angelica), Luigi Schifano (Ruggiero, chiamato a sostituire Philipp Mathmann pochi giorni prima della recita) si ricordano per una completa rispondenza ai requisiti virtuosistici dei loro rispettivi ruoli.
Meno impressionante, ma pur sempre professionalmente ineccepibile, il Medoro di Kostantin Derri. Il regista Fabio Ceresa, coadiuvato dallo scenografo Massimo Cecchetto, ha dimostrato come sia possibile mettere in scena un’opera barocca con idee nuove ma non prevaricanti, agendo tramite poche ma ben precise scelte (notevoli tra tutte l’immagine della luna semisferica che, ruotando e mostrando la sua concavità, si trasformava nella reggia di Alcina; l’imponente ed espressivo Ippogrifo). A impreziosire il colpo d’occhio complessivo hanno pensato i bellissimi costumi disegnati da Giuseppe Palella. Grande successo di pubblico, che ovviamente si ripeterà prossimamente in quel di Venezia.
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