di Luca Chierici foto © Paolo Andreatta
Si sentiva molto la mancanza dei concerti di Maxim Vengerov e della voce del suo Stradivari, che abbiamo potuto riascoltare martedì scorso al Teatro dal Verme per la stagione delle Serate Musicali.
Violinista tra i più grandi apparsi in circolazione a partire dalla metà degli anni Ottanta e poi ritiratosi per una decina d’anni (probabilmente a causa di problemi di salute sui quali non vogliamo qui indagare) all’incirca tra il 2006 e il 2013, Maxim Vengerov ha rappresentato per molto tempo le qualità migliori di una scuola russa tra le più prestigiose. Lo stesso tempo che è oggi sempre più tiranno, tanto da farci dimenticare chi non è salito alla ribalta nelle ultime ventiquattro ore o quasi, o chi non è oggetto di pubblicità martellanti sulla rete. Si è dovuto fare mente locale per ricordare a quante e quali serate di altissimo livello avevamo potuto assistere per almeno quindici anni nella sola Milano della Scala, della Società dei Concerti o delle Serate Musicali. Esecuzioni ammirevoli, con il Concerto di Mendelssohn a fianco di Giulini e di Tate, Brahms con Zubin Mehta e ancora i recital con Itamar Golan, gli interventi solistici con la Ciaccona di Bach o le difficilissime variazioni di Ernst su The last rose of summer e più tardi alcuni memorabili recital cameristici a Verbier a fianco di Gautier Capuçon o di Menahem Pressler.
Ernst – Variazioni su ‘ The last rose of summer’ – Maxim Vengerov . – 24-02-2016 – London
In Maxim Vengerov convivono tuttora il grande virtuoso e il grande musicista, in una sintesi difficilissima da raggiungere, e si ascoltano ancora oggi dal suo strumento una qualità e una intensità di suono che sembrano oramai scomparse. Per quanto si possano ammirare tanti violinisti che oggi vanno giustamente per la maggiore, il volume e l’intensità del suono di Maxim Vengerov ci riportano a una stagione del passato che avevamo persino finito per dimenticare. La sua riapparizione dell’altra sera è stata quindi ancora più emozionante perché si è ritrovato un grande artista e si sono ascoltate nuovamente vibrazioni che non si propagavano più da tempo nelle nostre sale. Accompagnatrice discreta e molto precisa è stata la pianista russa Polina Osetinskaya, che ha seguito l’artista in ogni sua pur minima inflessione e che ha sostenuto un programma di stampo antico, con una parte classica e una serie di pagine virtuosistiche che si è prolungata nei quattro bis concessi al termine. Maxim Vengerov ha dominato stilisticamente le due sonate opp. 78 e 108 di Brahms, ha infuso vita alla Sonata di Ravel con un particolare slancio nel famoso blues, ha interpretato Paganini (il Cantabile e le Variazioni sul Tancredi) con la esatta misura della componente virtuosistica e di quella melodica, ha infine dato un saggio riassuntivo di tutte queste specificità strumentali e artistiche nei leggeri pezzi di Kreisler e nella Meditation dalla Thaïs di Massenet . Il pubblico rispondeva con sempre maggiore vivacità alle proposte del duo e si ritirava al fine con la convinzione di avere potuto assistere a un “evento” – per questa volta ci si perdoni il termine troppo abusato – di portata non comune.
Ravel – Sonata SOL vl.pf. (finale) – Vengerov M.,Osetinskaya P. – 10-04-2018 – Teatro Dal Verme
Esponente di punta della grande fucina violinistica russa Maxim Vengerov si presenta preceduto da una fama internazionale. Grande virtuoso esegue con tecnica impeccabile e trascendentale il brano di Paganini/Kreisler (di grande effetto ma musicalmente assai povero) scatenando l‘entusiasmo di un pubblico fino a quel momento non in visibilio. Il programma iniziava con due sonate di Brahms, due assoluti capolavori del repertorio violinistico e di un autore che personalmente considero la vetta del panorama musicale dell‘800. L‘esecuzione – soprattutto quella della „Regensonate“ – è stata caratterizzata da un eccesso di lirismo e da un tempo staccato troppo lento che snatura la trama compositiva del brano. I toni sono sempre soffusi e certamente non in linea con la poetica del compositore amburghese. Gli stessi limiti sono presenti nei primi tre tempi dell‘op. 108 in cui il giusto fuoco viene finalmente acceso nell‘ultimo tempo. Troppo tardi però per riscattare una esecuzione altrimenti molto discutibile. Un giudizio sospeso vale invece per la sonata di Ravel. Qui il contrasto – voluto dal compositore francese – fra piano e violino viene sottolineato in modo troppo sentito anche a causa della pianista che lascia molti dubbi sui suoi limiti, avvertibili in tutta la serata. Un concerto quindi inaspettatamente luci e ombre.