di Ida Zicari
La ragione del successo di Estri di Aurel Milloss andava ben oltre una riuscita collaborazione artistica con Goffredo Petrassi. Il coreografo e il musicista intendevano allo stesso modo il senso di ciò che chiamavano “neoclassicismo”: non più e non solo un maturo approdo linguistico e formale, ma un ideale a lungo perseguito e ora compiutamente realizzato, vissuto come valore etico nell’arte, elaborato come concezione estetica pregna di cultura della classicità italiana eppure viva di modernità, come espressione di una poetica personale satura di storia e vibrante di presente. Il primo incontro artistico tra Milloss e Petrassi risaliva al ’42, quando, al Teatro Reale dell’Opera di Roma, il coreografo aveva messo in danza, con le scene di Mario Mafai, il Coro di morti, madrigale drammatico per voci maschili, tre pianoforti, ottoni, contrabbassi e percussione, che Petrassi aveva scritto sul testo del Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie di Leopardi.
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