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Presentata alla Scala la Stagione 2018-19

di Luca Chierici
31 Maggio 2018
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di Luca Chierici


La trasmissione in diretta della conferenza stampa della nuova stagione 2018-2019 è per il Teatro alla Scala una conquista (un poco tardiva, dal punto di vista squisitamente tecnologico) che è stata molto gradita dal pubblico e dagli addetti ai lavori, ora in grado di seguire quello che è senza dubbio l’avvenimento informativo più notevole di Milano dal punto di vista della programmazione musicale. E si è trattato di un evento che ha seguito una regìa abbastanza precisa, volta ad alternare, dopo la breve introduzione del Sindaco Giuseppe Sala, le presenze dei due veri protagonisti, il Sovrintendente Alexander Pereira e il Direttore  musicale Riccardo Chailly.

A Chailly viene riconosciuta la responsabilità della linea più attinente all’aspetto “nazionale”, quello che sottolinea l’imprescindibilità di una programmazione centrata sui grandi nomi del melodramma italiano, questa volta con un particolare accento su Verdi e la sua prima produzione. Il direttore milanese è particolarmente in sintonia con il primo Verdi, anche a causa dell’imprinting che aveva caratterizzato il suo ingresso alla Scala nel lontano 1978 con I masnadieri e questo è appunto un titolo che comparirà a fine stagione sotto la direzione di Michele Mariotti. Noteremo anche come la Scala abbia rischiato di farsi “scippare” questo titolo da altri teatri, se consideriamo il fatto che proprio I Masnadieri erano stati ad esempio portati a Bologna da Gatti (2003) e da Rustioni (2013) e a Roma, di recente, da Roberto Abbado.

La scelta di apertura per il 7 dicembre del 2015 era caduta su Giovanna d’Arco e ora interessa Attila, titolo che era stato recuperato con successo da Muti nei primi anni ’90 (con un fuoriclasse come Ramey) e che ora viene riproposto da Chailly secondo l’edizione critica di Helen Greenwald (2012),  in una nuova produzione (Livermore – Giò Forma – Falaschi) e con la presenza di Abdrazakov («è anche importante scegliere un titolo in base alla disponibilità delle voci» precisa il direttore). La seconda direttrice che molto interessa a Chailly è quella del recupero delle versioni originali di molte opere, o dell’inserimento di parti poi scomparse nelle esecuzioni tradizionali. Si tratta di scelte che sono sempre dettate da una grande curiosità da parte del nostro direttore e che vanno al di là di un criterio filologico che può sembrare discutibile (se si dà per scontato che l’ultima versione scelta dal compositore sia la più attendibile in assoluto).  In Attila, ad esempio, Chailly inserisce cinque battute di sutura, di collegamento, tra duetto e terzetto scritte da Rossini alla bell’età di 73 anni, come testimonianza del suo grado di attenzione nei confronti del più giovane collega, battute che a detta di Chailly stesso sono di impressionante bellezza. A due titoli verdiani celeberrimi (la Traviata della Cavani con Chung, al suo debutto scaligero in questo titolo, e il Rigoletto di Deflo con Nello Santi ) viene riservata l’attenzione dovuta più che probabilmente a questioni di botteghino e di attrattività per gli spettatori che giungono da ogni parte del mondo. Scelta più che giusta, e che tra l’altro non ci deve far dimenticare che vi sono stati anni non lontanissimi nei quali i titoli verdiani di maggior richiamo (si aggiunga Aida) erano assenti dai cartelloni scaligeri.

Terza direttrice di Chailly è sicuramente quella pucciniana, che viene illustrata da una nuova produzione di Manon Lescaut (regìa di David Pountney) e che si regge sulla prima versione dell’opera presentata a Torino nel  1893, versione che è caratterizzata da alcune importanti varianti come quella del concertato del Finale I. Questa Manon è del resto stata presentata  da Chailly per la prima volta in tempi moderni a Lipsia nel 2008, una vera e propria “Ur-Fassung”  che segue l’edizione critica di Roger Parker.

Pereira ha ripreso il microfono per illustrare l’altra parte di un programma davvero monstre che soddisfa il gusto di quasi tutti i melomani (non si è dato seguito quest’anno, purtroppo, alla riproposta di titoli italiani novecenteschi dopo l’esperimento de La cena delle beffe e di Francesca da Rimini). Pereira ha parlato di repertorio belcantistico e ha introdotto  la ripresa della storica Cenerentola di Ponnelle (dirige Dantone) e dell’Elisir d’amore con le felici scene e costumi di Tullio Pericoli. Ma soprattutto ha introdotto nuovi titoli che inspiegabilmente mancavano da moltissimo tempo alla Scala. Saranno soddisfatti gli straussiani che finalmente vedranno rappresentata Die Aegyptische Helena, titolo bellissimo che inspiegabilmente non era stato inserito nella programmazione neanche in quel felice contingente che aveva visto Sawallisch nel 1988 dirigere nel teatro titoli di rara programmazione come Daphne, Die Liebe der Danae e Die schweigsame Frau. Una vera e propria chicca sarà costituita dall’apparizione dello stesso Pereira nel ruolo parlato del Maggiordomo nell’Ariadne auf Naxos di nuova produzione (dirige Welser-Möst con la regia di Frederic Wake-Walker).  E saranno anche felici gli estimatori di Korngold (Die tote Stadt andrà in scena a fine Maggio in prima esecuzione assoluta alla Scala), di Musorgskij (Chovanščina diretta da Gergiev con la regia di Martone e le scene della Palli) e ovviamente di Mozart, cui viene riservato l’Idomeneo ancora in una nuova produzione (direttore Dohnányi e regia di Matthias Hartmann).

Rimane da citare il recentemente presentato progetto haendeliano curato da Cecilia Bartoli, che vedrà il suo debutto con Giulio Cesare diretto da Antonini e sul quale ritorneremo con grande interesse. E la ripresa di Quartett di Luca Francesconi, oltre alla consueta attenzione verso i giovani dell’Accademia che presenteranno il raro Prima la musica poi le parole di Salieri a fianco del Gianni Schicchi. In entrambi i casi gli allievi saranno affiancati nientemeno che da Ambrogio Maestri. La regìa dello Schicchi è quella di Woody Allen, già presentata a Los Angeles nel 2015

Del ricco programma di concerti sinfonici, che tra le altre cose vedrà la presenza a Milano della prestigiosa orchestra del Festival di Lucerna, parleremo a breve con migliore attenzione ai dettagli.

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Luca Chierici

Luca Chierici

Luca Chierici, nato a Milano nel 1954, dopo la maturità classica e gli studi di pianoforte e teoria si è laureato in Fisica. Critico musicale per Radio Popolare dalla fine degli anni '70 e per Il Corriere Musicale dal 2012, collabora alle riviste Musica e Classic Voice dalla fondazione. È autore di numerosi articoli di critica discografica e musicale, di storia della musica e musicologia, programmi di sala e note di lp e cd per importanti istituzioni teatrali e concertistiche e case discografiche. Ha collaborato per molti anni alle riviste Amadeus, Piano Time, Opera, Sipario. Ha condotto Il terzo anello per Radiotre e ha implementato il data base musicale per Radio Classica. Ha pubblicato per Skira i volumi dedicati a Beethoven, Chopin e Ravel nella collana di Storia della Musica. Ha curato numerose voci per la Guida alla musica sinfonica edita da Zecchini e ha tenuto diversi cicli di lezioni di Storia della musica presso i licei milanesi. Nell'anno accademico 2016-2017 ha tenuto un ciclo di seminari di storia dell'interpretazione pianistica presso il Conservatorio di Novara (ciclo che è stato replicato per l'anno 2017-2018 al Conservatorio di Piacenza). Appassionato di tecnologia, ha formato nel corso degli anni una biblioteca digitale di oltre 140.000 spartiti e una collezione di oltre 70.000 registrazioni live. Nel 2007-2008 ha contribuito in qualità di consulente al progetto di digitalizzazione degli spartiti della Biblioteca del Conservatorio di Milano. Dal 2006 collabora alla popolazione del database della Petrucci Library (www.imslp.org).Dal 2014 è membro della Associazione nazionale Critici musicali.

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