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La Missa Solemnis apre la stagione di Lingotto Musica in ricordo di Sergio Marchionne

di Attilio Piovano
13 Ottobre 2018
in CONCERTI, RECENSIONI
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Home RECENSIONI CONCERTI
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di Attilio Piovano foto © Pasquale Juzzolino


Apertura di stagione per i Concerti di Lingotto Musica, a Torino, la sera di giovedì 11 ottobre 2018, presso il vasto Auditorium Agnelli di via Nizza, nel segno di Beethoven sul versante sacro: e dunque ecco la Missa Solemnis affidata alle cure di Hofkapelle e Kammerchor Stuttgart, con un quartetto di scelti solisti e la direzione attenta e partecipe di Frieder Bernius. Il programma in realtà era già stabilito da tempo, ben prima che subentrassero imprevedibili circostanze contingenti e umane, di ingente portata per l’intero gruppo Fca di cui i Concerti del Lingotto sono emanazione diretta: tuttavia la dedica di questa serata inaugurale alla memoria di Sergio Marchionne (che fu vice Presidente di Lingotto Musica da 2008 al 2018) – espressamente voluta dal direttore artistico Francesca Gentile Camerana – ha circonfuso la partitura beeethoveniana di una luce particolare, rendendo l’evento singolarmente toccante e  commovente.

Composta da Beethoven per l’amato Arciduca Rodolfo, la partitura di per sé è già intrisa di valori umani specialissimi, ovvero da una sorta di intimismo amicale dal quale non è possibile prescindere. Attenendosi ad una dimensione più squisitamente artistica, il fatto che il lavoro sia stato eseguito da un complesso che utilizza strumenti d’epoca e con una speciale attenzione alla prassi esecutiva storica, ha permesso di ‘rileggerlo’, più ancora, di ripensarlo entro una dimensione piuttosto atipica rispetto agli standard interpretativi ai quali generazioni di direttori e complessi di fama internazionale ci hanno abituato. Richiedendo un innegabile impegno intellettuale ed emotivo da parte degli ascoltatori, per alcuni addirittura uno sforzo: dacché, si sa, ogni volta che ci accade di ri-ascoltare una pagina celeberrima è inevitabile che la si ‘confronti’ (sia pure inconsciamente) con quel modello specifico, ovvero con quello specimen interpretativo che per la storia di ognuno rappresenta un punto di riferimento estetico, tanto fondamentale quanto invero soggettivo.

Ci perdonino i lettori la lunga premessa. Era per dire come proprio questa ci pare la chiave di lettura che occorre porre in atto per valutare nel suo complesso con serena correttezza (e lungi da pregiudizi) l’interpretazione fornita da Frieder Bernius. Un’interpretazione dove c’era spazio fin dal toccante Kyrie per intimismo e pacatezza, in una parola per quello «stile raccolto e devoto» che della Missa costituisce la principale cifra. Anche l’effusiva gioia e l’allure pur (moderatamente) sfolgorante del vasto Gloria hanno goduto di una speciale ed affettuosa attenzione da parte degli interpreti tutti, solisti, coro e direttore: posta ad evitare teatralità ed effettismi del tutto estranei in una partitura che, qua e là – in certi giri armonici, in talune torniture melodiche ed in mille altri dettagli – rivela a chiare lettere una parentela linguistica e più ancora espressiva con la coeva Nona Sinfonia. Tra i passi toccanti, l’assorta commozione dell’«Et in terra pax» sanamente controbilanciato dalla festosa chiusa del Gloria stesso.

Dei non pochi passi polifonici Bernius ha inteso evidenziare soprattutto il lavorio interno, anziché sbozzarne per grandi pennellate la monumentalità talora di matrice per così dire neo haendeliana. E allora ecco che certi attacchi imitati del coro – memori in egual misura di Palestrina come del sommo Bach – parevano avviarsi come per generazione spontanea, in punta di piedi anziché ammantarsi di un’icastica esteriorità, di fatto estranea, merita ribadirlo, alla Missa beethoveniana. Ecco allora che nel vasto Credo momenti quali l’«Incarnatus» e il «Crucifixus» hanno raggiunto vertici di notevole intensità; così pure il «Sepultus», madrigalisticamente proteso verso sonorità gravi, prima dello svettante annuncio della Resurrezione e del conclusivo, giubilante «Amen»: peraltro di un giubilo pur sempre misurato e come filtrato attraverso una dimensione ‘altra’, quasi post humana

Davvero bello il colore brunito e arcaicizzante molto opportunamente conferito all’esordio del Sanctus. Il fraseggiare del violino ‘solo’ nell’assai celebre «Benedictus» che emerge come da un magma sonoro di sorprendente colore oro antico, punteggiato dagli interventi delle percussioni, è parso forse un po’ troppo baroccheggiante, qualche vibrato in più (ed anche una maggior cura nell’intonazione) non avrebbero guastato. Il clou nel variegato «Agnus» dove una miriade di elementi, che non sono solamente descrittivistici, bensì espressivamente pregnanti, si sono avvalsi di cure speciali: e ancora ecco messe in luce certe affinità con la Nona (per dire, il passo di musica militare che pare il gemello formato mignon del tratto turchesco nel finale sull’Ode di Schiller). Da ultimo l’epilogo è rimasto – intenzionalmente, certo – un po’ a mezz’aria, come a ribadire una lettura che intendeva rifuggire appunto da effettismi teatrali e facili compiacimenti. E pazienza se qualcuno è rimasto in parte deluso, aspettandosi un’interprtazione forse diametralmente opposta, assai più coloristica come tante ne esistono sul mercato discografico.

Buona la prova fornita dal coro, specie le voci mediane (un poco alle corde i soprani su certe note acute); suono complessivo cameristico, comme il faut e buon affiatamento. Dei solisti hanno convinto soprattutto il mezzosoprano Sophie Harmsen e il tenore Sebastian Kohlhepp, partecipe altresì l’interpretazione del soprano Johanna Winkel, pur a fronte di qualche asprezza e piccole forzature; bene il basso Arttu Kataja, nonostante qualche disagio in note ultra gravi che stentavano ad arrivare sino a fondo sala. Dell’orchestra ottimi sono parsi i fiati, per la bellezza della pasta sonora, un po’ più anodini e ‘freddi’ gli archi, ancorché non certo inespressivi. Applausi contenuti, ma convinti.

Tags: BeethovenSergio MarchionneTorino
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Attilio Piovano

Attilio Piovano

Musicologo e scrittore, ha pubblicato (tra gli altri) Invito all’ascolto di Ravel (Mursia 1995, ristampa RCS 2018), i racconti musicali La stella amica (Daniela Piazza 2002), Il segreto di Stravinskij (Riccadonna 2006) e L’uomo del metrò (e-book interattivo per i tipi de ilcorrieremusicale.it 2016, prefazione di Gianandrea Noseda). Inoltre i romanzi L’Aprilia blu (Daniela Piazza 2003) e Sapeva di erica, di torba e di salmastro (rueBallu 2009, prefazione di Uto Ughi). Coautore di una monografia su Felice Quaranta (con Ennio e Patrizia Bassi, Centro Studi Piemontesi 1994), del volume Venti anni di Festival Organistico Internazionale (con Massimo Nosetti, 2003), curatore e coautore del volume La terza mano del pianista (Testo & Immagine 1997). Laurea in Lettere, studi in Composizione, diploma in Pianoforte, in Musica corale e Direzione di Coro, è autore di contributi, specie sulla musica di primo ‘900, apparsi in volumi miscellanei, atti di convegni e su rivista. Saggista e conferenziere, vanta collaborazioni con La Scala, Opéra Royal Liège, RAI, La Fenice, Opera di Roma, Lirico di Cagliari, Coccia di Novara, Carlo Felice di Genova, Stresa Festival, Orchestra Camerata Ducale ecc.; a Torino col Festival MiTo (già Settembre Musica, ininterrottamente dal 1984), Unione Musicale, Teatro Regio, Politecnico e con varie altre istituzioni. Già corrispondente del «Corriere del Teatro», ha esercitato la critica su più testate; dalla fondazione scrive per «ilcorrieremusicale.it»; ha scritto inoltre per «Torinosette», magazine de «La Stampa», ha collaborato con «Amadeus» e scrive (dal 1989) per «La Voce del Popolo» (dal 2016 divenuta «La Voce e il Tempo»); dal 2018 recensisce per «Il Corriere della Sera» (edizione di Torino). Membro di giuria in concorsi letterari nonché di musica da camera e solistici. Docente di Storia ed Estetica della Musica (dal 1986, presso vari Conservatori), dal 1991 a tutt’oggi è titolare di cattedra presso il Conservatorio “G. Cantelli” di Novara dove è inoltre incaricato dell’insegnamento di Storia della Musica sacra moderna e contemporanea nell’ambito del Corso biennale di Diploma Accademico in Discipline Musicali (Musica sacra) attivato dall’a.a. 2008/2009 in collaborazione col Pontificio Ateneo di Musica Sacra in Roma. Dal 1° gennaio 2018, cura inoltre l’Ufficio Stampa del Conservatorio “G. Cantelli”. Dal 2012 tiene corsi monografici sulla Storia del Melodramma (workshop su «Architettura, Scenografia e Musica» presso il Dipartimento di Architettura & Design del Politecnico di Torino, Corso di Laurea Magistrale, in collaborazione con Fondazione Teatro Regio). È stato Direttore Artistico dell’Orchestra Filarmonica di Torino. Dal 1976 a Torino è organista presso la Cappella Esterna dell’Istituto Internazionale ‘Don Bosco’, Pontificia Università Salesiana (UPS), dal 2017 anche presso la barocca chiesa di San Carlo, nella piazza omonima, e più di recente in Santa Teresa. Nell’autunno del 2018 in veste di organista ha partecipato ad una produzione del Requiem op. 48 di Fauré. È citato nel Dizionario di Musica Classica a cura di Piero Mioli, BUR, Milano © 2006, che gli dedica una ‘voce’ specifica (vol. II, p. 1414).

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