di Monika Prusak foto © Rosellina Garbo
John Turturro debutta come regista d’opera con il Rigoletto verdiano andato in scena al Teatro Massimo di Palermo. Le ambientazioni cupe e misteriose, tipiche di Mantova e dintorni, sono rappresentate da architetture altrettanto spettrali e tridimensionali, illuminate sapientamente dalle luci di Alessandro Carletti. Le scene di Francesco Frigeri usano colorazioni notturne di blu e nero, nascondendo così gli spostamenti segreti del Duca di Mantova e dei suoi seguaci. Le coreografie di Giuseppe Bonanno mettono in mostra i preziosi costumi di Marco Piemontese, anch’essi in tonalità scure che si accordano perfettamente con la profondità delle scene. L’armonia di tutti gli elementi scenici è tale che sembra quasi entrare dentro i quadri antichi, sensazione che viene rafforzata dall’immobilità pressoché assoluta della recitazione.
La sola a muoversi è la musica di Giuseppe Verdi, diretta da Stefano Ranzani che, dopo qualche insicurezza iniziale nell’orchestra, porta a compimento una direzione attenta e rigorosa, ricca di sonorità interessanti come il meraviglioso assolo dell’oboe che introduce l’aria di Gilda «Tutte le feste al tempio». Ranzani guida con rigore anche i cantanti solisti e il coro, tuttavia la resa dell’insieme risulta eccessivamente statica, e di conseguenza ogni scena sembra prolungarsi all’infinito.
In questo contesto è difficile parlare della recitazione, visto che i drammi personali dei personaggi si svolgono prevalentamente nel loro mondo interiore. Si può, invece, apprezzare con maggior convinzione il canto, perché la staticità generale influisce positivamente sulla concentrazione all’aspetto vocale dell’opera, come d’altra parte Verdi stesso richiedeva ai suoi cantanti. Tra i personaggi, spicca Gilda di Maria Grazia Schiavo, una dolce fanciulla che vive davanti ai nostri occhi una vera e propria maturazione dovuta all’incontro con il Duca. La voce della Schiavo è cristallina e leggera nel registro acuto e robusta in quello grave, mostrando una notevole estensione ed espressività. Il suo personaggio è lineare e ben studiato, una Gilda pura ma consapevole, una donna sensibile e allo stesso tempo coraggiosa. Al suo fianco sta Rigoletto di George Petean, un padre premuroso ma avvolto da un mistero, come se svelare la sua vera identità potesse ferire la figlia, già provata dalla morte prematura della madre. Petean e la Schiavo offrono dei dialoghi eccellenti, sincronizzati e coinvolgenti, mentre il Duca di Mantova recitato da Stefan Pop risulta piuttosto buffo e caratteristico. Due voci gravi donano al cast un suono più robusto e minaccioso: il Conte di Monterone, recitato da Sergio Bologna, e lo Sparafucile di Luca Tittoto. Appare suadente e sensuale la vocalità di Martina Belli, un contralto corposo e profondo, perfettamente adatto al ruolo. Lo spettacolo di Turturro si può considerare ben riuscito, con il solo punto debole legato al poco movimento degli attori sul palcoscenico, quasi a volere rendere gli unici protagonisti il canto e le musiche di Verdi.