di Attilio Piovano foto © Wilfried Hösl
C’erano molta attesa e altrettanto fermento a Torino per il preannunciato ritorno del fuoriclasse Kirill Petrenko sul podio dell’OSNRai: con schiere di musicofili in fibrillazione oltre che in possesso dell’agognato biglietto da settimane se non da mesi, in aggiunta ai consueti abbonati. Le aspettative – ça va sans dire – come era facile prevedere, non sono certo andate deluse. Di un vero e proprio doppio trionfo si è infatti trattato, le sere di venerdì 26 e (forse più ancora) di sabato 27 aprile 2019, serata alla quale abbiamo assistito.
In apertura l’evergreen dell’Eroica beethoveniana. Orchestra davvero in gran spolvero che, sotto la bacchetta precisa e il gesto nitido, incisivo, ma anche affettuoso, sempre partecipe, del sommo Petrenko ha dato il meglio di se stessa. Un’orchestra – beninteso, merita ribadirlo – che ha oggi raggiunto a nostro avviso livelli assai alti di coesione, bellezza di suono e molto altro ancora. C’è stata per anni la guida di Valčuha della quale la compagine si è alquanto avvantaggiata; ormai da tempo James Conlon – direttore stabile – si sta rivelando un ottimo coach, per dirla in termini sportivi, oltre che un raffinato e serio professionista, sicché ormai a fine stagione l’OSNRai è una macchina perfettamente oliata in grado di affrontare qualsiasi autore e qualsiasi partitura, dal Barocco al contemporaneo. Da menzionare poi i recenti concorsi che hanno immesso linfa nuova e giovani, ben qualificate leve tra le fila di una compagine che (sempre a giudizio di chi scrive) non ha nulla da invidiare alle principali altre formazioni italiane (si pensi a Santa Cecilia, Filarmonica della Scala e Maggio Musicale, di fatto con OSNRai le uniche Orchestre Sinfoniche operanti sul suolo nazionale in grado di competere quanto a standard esecutivi con le principali orchestre mondiali).
Ciò detto con Petrenko – se si può – l’OSNRai ha superato ulteriormente se stessa, apparendo come rigenerata (senza nulla togliere agli ottimi direttori che di norma salgono sul podio). Il risultato una Terza nella quale Petrenko – che non disdegna di tenere la partitura sul leggio, sempre sorridente ed affabile sì da trasmettere anche nel suo stesso essere il piacere di far musica – ha infuso una singolare carica energetica, con una souplesse ed una naturalezza davvero invidiabili. Fin dal vasto primo tempo tutto appariva a posto (quanto meno la sera del 27), perfettamente in asse ritmicamente, con un sound stilisticamente appropriato. Suoni corposi, lontani da certe emaciate interpretazioni pseudo-filologiche, ma anche delicate raffinatezze e morbida dolcezza dove occorre. Petrenko, al contrario di altri, è riuscito a cogliere quel sottile e velato humour disseminato in partitura, che pure spesso i direttori pongono da parte privilegiando l’aspetto monumentale, eroico, per l’appunto, se non inutilmente altisonante. Tutto era calibrato, ottimi gli archi, bene gli ottoni, grande lavoro di cesello nello sviluppo, ma anche in evidenza il tema principale nelle varie sezioni. Quanta eleganza, ma nel contempo quanta energia in quel celeberrimo passo accordale che pare anticipare lo stravinskijano Sacre, con gli accordi insistiti e ‘sforzati’ ma sempre con somma misura, senza mai fare violenza alla partitura e – soprattutto – senza cercare l’effetto a tutti i costi. Insomma un primo tempo asciutto e privo di inutili smancerie e pure ricco, corposo, una vera lezione di stile.
La Marcia funebre ha lasciato tutti col fiato sospeso: raramente la si è ascoltata con tale intensità: sublime è parso già l’attacco con quelle sonorità opache, come soffocate che ogni volta ti prendono al cuore, eppure sonorità al tempo stesso espressive, col celeberrimo inciso ritmico già anticipatore della Quinta bene in vista. E poi quanta calda humanitas nel più cantabile trio dove la virilità e il dolore paiono cedere nobilmente alla commozione e alle lacrime. Quanta ricchezza di piani sonori, il sublime fugato a dir poco perfetto e il lungo pedale ‘bachiano’ poderoso e incisivo.
Tempo giusto per lo Scherzo, tutto snellezza e scorrevole scioltezza, anche qui senza mai forzare, un’interpretazione dove tutto era naturalezza e fluidità. Finale effettistico quanto occorre, all’esordio, ma controllato e sorvegliatissimo senza nulla concedere al plateale (e uscire dal seminato, si sa, è facilissimo). Superbo il fugato, magnifico il passo ‘turco’, energetico, ma misurato ed elegante. E ancora quanto lavoro di bulino nella sezione lenta (Poco Andante), prima della vera e propria apoteosi salutata da applausi incontenibili. Merita ripeterlo: una vera e propria lezione di stile, tant’è che l’Eroica è parsa rigenerata, come eseguita per la prima volta, una sorta di palingenesi sonora.
Seconda parte di serata dedicata allo Strauss di Vita d’eroe: pagina che va presa per quello che è, con i suoi pregi (molti, è innegabile) ed i suoi difetti (certi turgori che talora finiscono per apparire vacuamente reboanti e via elencando). Petrenko è riuscito nell’intento di attenuare quel tanto di inevitabilmente retorico che la celebre partitura contiene, mettendone in luce i passaggi di sovrumana bellezza timbrica: per dire, quelle sonorità aguzze come stalattiti (Gli avversari dell’eroe) rivelatrici della modernità, più ancora del novecentismo di Strauss, avevano del sublime. Appena qualche eccesso fonico – forse – nel passo in cui le percussioni si scatenano in una scarica di fucileria. Il rischio in una pagina come Heldenleben è che la tensione venga meno e qua e là qualcosa si vada sfilacciando: rischio che Petrenko ha contenuto al massimo, riuscendo a far – se non amare – quanto meno apprezzare la pur celeberrima partitura anche a chi dichiaratamente non la sopporta e le preferisce altri lavori (come la Alpensinfonie o, su un altro versante, Till Eulenspiegel o ancora Don Quixote). Anche qui, gran prova per l’orchestra, archi magnifici, ottoni, legni e percussioni da manuale e, alla fine, una gran festa per tutti con lunghi meritatissimi applausi all’OSNRai intera ed alle sue ottime prime parti.