di Francesco Lora foto © Marco Caselli Nirmal
Due notizie decisive si sono succedute tra gli ultimi giorni e ore, e danno ulteriore forza e ruolo a una riconferma per il panorama italiano. La riconferma è quella della risorta Orchestra Mozart, l’ultimo organismo strumentale battezzato da Claudio Abbado, compagine di superba qualità tecnica ma pericolosamente orientata ad personam nelle proprie attività. Ammutolita dopo la morte del maestro, nel 2018 è ripartita sotto la guida di Bernard Haitink, l’ultimo che l’aveva diretta sostituendo Abbado. Da lì ha ritrovato lo slancio professionale, ha rinnovato l’identità artistica, è tornata al centro delle iniziative dell’Accademia Filarmonica di Bologna e si è creata uno spazio, nel periodo pasquale, sia sotto le due torri, dove è nata, sia a Lugano, dove è stata adottata e rifocillata.
Quanto detto fa da premessa alla notizia diramata il 24 maggio dall’Accademia Filarmonica. Nei giorni degli ultimi due concerti sinfonici a Bologna e Lugano, lo scorso aprile, Haitink aveva appena compiuto novant’anni e annunciato la volontà di concedersi un anno sabbatico: magnifica forma di autoconsapevolezza mista a entusiasmo e sottile ironia. Sulla designazione del suo successore, nebbia fitta. “Daniele Gatti”, scommetteva chi scrive. Ma dall’entourage dell’Orchestra Mozart tutti si affrettavano a smentire: quali che siano, le notizie non si bruciano così. Anche lo scrivente iniziava a non confidare più sui suoi presentimenti, dopo il recente annuncio (primi di maggio) della fondazione della Filarmonica di Milano e di Gatti come suo tutore musicale (il cumulo di cariche presso orchestre ad alto tasso giovanile, per un direttore come lui già tanto impegnato, perde di verosimiglianza oltre un certo e già notevole numero). Invece no: il nuovo direttore musicale dell’Orchestra Mozart è proprio Gatti, incaricato per un triennio a partire dalla pasqua 2020, dopo essere stato individuato all’unanimità dal presidente dell’Accademia, Loris Azzaroni, dal consulente artistico, Gastón Fournier-Facio, e dal board di cinque musicisti appartenenti all’orchestra fin dalla sua fondazione e protagonisti della sue reimmissione nella vita artistica personale, bolognese e internazionale.
Il nome di Gatti, del resto, era già tra quelli indicati come graditi da Abbado, non tanto alla sua successione quanto alla condivisione della scalpitante compagine. Sarà interessante ipotizzare, prima, e saggiare, poi, la plausibile virata di repertorio che bolle in pentola. Non saranno di certo esclusi Mozart e Beethoven, Haydn e Schubert, intorno ai quali era stato costituito l’interesse primario e lo specifico organico dell’orchestra. Ma con Gatti è assai probabile che ci si spingerà fino al Novecento storico, con il solo argine dell’effettiva disponibilità di musicisti nelle file (quantità e qualità: non commensurabili, attualmente, al sinfonismo di un Mahler). Nel contempo, l’insediamento di Gatti significherà il suo ritorno a Bologna, nel cui Teatro Comunale egli è stato direttore musicale per dieci stagioni dal 1997 al 2007. Non lo si è quasi più rivisto, e comunque non più al Comunale. Attentissimo nelle scelte artistiche affidategli e nella messa a punto di una strategia di carriera, a Bologna è stato trattato con rispetto ma anche sottovalutato nel suo impatto internazionale, senza mai conquistare il pubblico locale alla maniera di Christian Thielemann e Michele Mariotti. Fosse anche solo per due o quattro concerti per anno, la sua presenza restituirà alla città – che nei decenni ha collezionato la residenza anche di Vladimir Delman e Riccardo Chailly – una centralità attualmente sospesa e perduta (il Teatro Comunale è oggi privo di un direttore musicale e, quel che è peggio, nel momento ove le fondazioni lirico-sinfoniche italiane esibiscono tutte insieme nomi di un lusso mai visto prima).
La seconda notizia è fresca di poche ore. In un’intervista concessa alla stampa olandese, Haitink ha signorilmente ammesso che, dopo il concerto del 6 settembre al Festival di Lucerna, sarà davvero il momento del ritiro e non soltanto di un anno sabbatico. La mente torna allora, tanto più grata, ai suoi ultimi concerti bolognesi (anzi italiani), nel Teatro Manzoni, del 26 e 28 aprile scorsi. Ossia a una Sinfonia concertante Hob.I:105 di Haydn tutta paternamente rimessa nelle mani di quattro solisti dell’Orchestra Mozart tra loro in scoperto contrasto caratteriale (Lucas Macías Navarro, oboe, nobile e sicuro di sé; Raffaele Giannotti, fagotto, reverente e talentuoso ultimo arrivato nella famiglia; Lorenza Borrani, violino, tanto elegante quanto energica; Gabriele Geminiani, violoncello, spavaldo alla maniera italiana); a una Sinfonia n. 3 “Eroica” di Beethoven tenuta a passo di monumento, grandiosa e impenetrabile, noncurante dell’intervenuta acquisizione filologica ma ancora più delle mode che erodono la bontà del fare musica; a un’Ouverture dal Sommernachtstraum di Mendelssohn con un’ipnotica fibrillazione interna seguita da escursioni dinamiche di bonario virtuosismo; a un Concerto n. 22 di Mozart dove il pianista, Martin Helmchen, non si è fatto intimorire dal titano sul podio onde dare luogo al suo disinibito parere sulla partitura, venendo anch’egli simpaticamente assecondato dal titano in questione; fino a una Sinfonia n. 5 di Schubert che ha lasciato di stucco diversi musicisti stessi della smaliziata orchestra: credevano fosse una composizione minore nel corpus sinfonico dell’autore, e si sono trovati al cospetto di un testo srotolato alla maniera della Grande.