di Alberto Bosco foto © Xavier del Real
Il Trovatore allestito in chiusura di stagione al Teatro Real con la regìa di Francisco Negrín presenta in scena tutti gli ingredienti che ci si aspetta da quest’opera: l’oscurità, una certa ambientazione leggendaria ma non necessariamente storica, costumi che distinguano chiaramente le fazioni in campo, e soprattutto il fuoco, che simboleggia le passioni inesauste di cui sono vittima i protagonisti, ed è declinato in varie forme, dalle candele delle stanze di Leonora, al rogo su cui era morta la madre d’Azucena, ai falò degli zingari o quelli dei soldati. L’impostazione registica non manca di mettere in rilievo la tensione continua che attraversa l’opera, rinunciando a cambi di scena e unificando il più possibile tutti gli episodi, né rinuncia a calcare i tratti quasi espressionisti del lavoro, con i volti deformati degli sgherri del conte di Luna o attraverso la scelta di far apparire costantemente in scena i fantasmi bruciacchiati del figlio e della madre di Azucena, trasformando così la zingara, rosa dalla sete di vendetta e dall’amore verso il figlio adottato, in un personaggio allucinato, in preda al delirio come Macbeth. Quest’ultima soluzione ha evidentemente spinto Marie-Nicole Lemieux a interpretare il suo personaggio in modo un po’ esasperato vocalmente, con alcuni scompensi negli acuti. Efficace, invece, l’idea nel duetto finale tra Azucena e Manrico, in cui questa cantava le sue parole al vero figlio, piazzato davanti a lei nell’allucinazione, mentre l’altro si trovava al lato opposto del palcoscenico, ignaro della macchinazione diabolica che lo porterà ad essere ucciso dal suo proprio fratello.
Nonostante la regìa coerente e in tono con la musica, la recita a cui si è potuto assistere, non è lievitata al punto da potersi considerare riuscita in pieno. Forse la direzione di Maurizio Benini, precisa e ben graduata, nonché molto rispettosa delle esigenze dei cantanti, ha mancato di nerbo teatrale e di quel fuoco che, onnipresente in scena, si sarebbe voluto vedere avvampare anche in orchestra. Forse perché nel cast, che era il secondo, debuttavano una Leonora e un conte di Luna del terzo, con comprensibili cautele di interpretazione e di interazione tra i cantanti, i quali non avevano preso ancora le misure dello spettacolo. O forse, perché nella realtà il Trovatore perfetto, quello che realizzi il tragico teorema ideale inventato dalla fantasia di Verdi, non può esistere nella realtà. Insomma, si è usciti dallo spettacolo con una lieve insoddisfazione e con l’impressione che con gli elementi messi in campo qualcosa di più in altre recite si sarà ottenuto. Nel cast, in generale di buon livello, hanno spiccato Roberto Tagliavini come Ferrando, Lianna Haroutounian, brava nel dominare le difficoltà vocali della parte di Leonora e Piero Pretti, molto spigliato nei panni di Manrico. Calorosa, infine, l’accoglienza del pubblico che affollava il teatro.