di Luciana Galliano foto © Brescia e Amisano
Nato a Milano nel 1956, Luca Francesconi è un musicista creativo e prolifico, ha composto musica per il teatro, cinema, televisione e si è molto occupato di musica elettronica, essendo uno dei fondatori di AGON; ha vinto diversi concorsi e ottenuto molti riconoscimenti (tra i quali gli importanti Premio Siemens e Prix Italia), e la sua musica gode di invidiabile circolazione sia in Italia sia in Europa: una carriera fortunata e intensa. Come afferma, è sposato con i pallini neri su fondo bianco rigato… Luca Francesconi, oltre che compositore stimato e autorevole, è anche direttore d’orchestra, e docente da decenni sia nei conservatori italiani che in corsi di perfezionamento in tutto il mondo; è capo del dipartimento di composizione alla Musikhögskolan di Malmö in Svezia ed è stato un brillante Direttore Artistico della Biennale Musica di Venezia dal 2008 al 2011 e dal 2012 del festival Ultima a Oslo.
Allievo il più riuscito (allievo anche di Stockhausen) di Luciano Berio, ne è stato assistente nei primi anni ottanta; una certa affettuosa condiscendenza nel modo in cui talvolta Berio parlava di Luca va imputata senz’altro alla difficoltà del Re Leone nel vedere un piccolo crescere … Il muoversi di Francesconi liberamente fra i diversi livelli e linguaggi – dai distillati linguistici delle avanguardie più titolate al pop-jazz-rock, compresa una certa elettronica sia hifi che lofi – non poteva non immalinconire un grande onnivoro come Berio, che per ragioni anagrafiche non si è mai sentito veramente a suo agio con le tendenze musicali dei Giovani.
Distingue il catalogo dell’opera di Francesconi la notevole quantità di brani orchestrali – quasi una ventina; la sua produzione operistica è ragguardevole per la poliedricità dei progetti, che vanno dalla cantata Let me Bleed per il New London Chamber Choir alla video-opera Striàz per il Mittelfest 1996 (con Paolo Rosa di Studio Azzurro) e all’intensissimo Lips, Eye Bang (1998) per performer ed ensemble con trasformazioni realtime audio e video, commissionata dal Nieuw Ensemble e STEIM Amsterdam. Contiamo poi cinque opere radiofoniche per la RAI e altre opere più “tradizionali”: del 2002 Buffa Opera su testi originali di Stefano Benni con protagonista Antonio Albanese, commissionata e prodotta dal Piccolo Teatro di Milano (un successo) e Ballata (1999) su libretto di Umberto Fiori (da The Rime of the Ancient Mariner di Coleridge), commissionata dal Théâtre de la Monnaie di Bruxelles e diretta da Kazushi Ono per la regia di Achim Freyer (altro successo). Nel 2004, su commissione dell’Holland Festival, Francesconi crea Gesualdo Considered as a Murderer, su testo di Vittorio Sermonti, in cui lo spazio sonoro è meditato insieme all’originale regista Giorgio Barberio Corsetti – opera difficile e tormentosa, efficace però nel fornire equivalenze elettroniche all’audacia contrappuntistica di Gesualdo, rivestendo la disperazione dei personaggi di accesi passaggi espressivi. “Straordinariamente belli mi sono parsi certi momenti polifonici” scriveva Piero Gelli.
L’opera Quartett, rappresentata in prima assoluta al Teatro alla Scala il 26 marzo 2011, è adesso riproposta dalla Scala sino al 22 ottobre – unica opera contemporanea nella storia recente del teatro – in occasione di eventi legati alla produzione di Heiner Müller nei 90 anni dalla nascita, come la rappresentazione di Hamletmaschine alla Biennale. Francesconi ha da sé scritto il libretto, ed è un cameo dalla famosa vicenda de Le relazioni pericolose di Laclos (1782) riletto da un commediografo grande e implacabile come Heiner Müller – è la scena del lungo colloquio fra Valmont e la Marchesa, ma qui i due personaggi evocano e impersonano anche i due attorno a cui ruotano le loro mire. La regia è la stessa del 2011 della Fura dels Baus, ripresa da Patrizia Frini, bellissima messa in scena di Àlex Ollé, coté intellettuale della Fura. Cambia la direzione: non più Susanna Mälkki, che fu nell’occasione la prima direttrice a salire sul podio dell’orchestra della Scala, ma il quasi quarantenne Maxime Pascal e, diversamente da quello che i luoghi comuni potrebbero ritenere, alla vigorosa e colorata direzione della Mälkki ha opposto una lettura più intima, ricca di sfumature. L’opera è già stata ripresa da 17 teatri europei, alle Wiener Festwochen, dalla English National Opera, dalla Nederlandse Opera e poi Parigi, Strasburgo, Londra con nuovi allestimenti. Il testo ha una valenza altissima, nella violenza delle parole, nel duro e sarcastico progetto/piacere dei due protagonisti – entrambi impersonati alla perfezione dagli interpreti del 2011; la Marchesa di Merteuil è l’affascinante e vocalmente inarrivabile Allison Cook, autentico mezzosoprano inglese, e il Visconte di Valmont il prestante (anche vocalmente) baritono Robin Adams. Alla musica è richiesto di raffigurare le infinite sfumature della seduzione, eventualmente al di là della morale ma mai della grazia salottiera dei due consumati libertini, nell’impervio puzzle verbale mülleriano. Francesconi stila un complesso schema per calibrare i diversi piani sonori fra realtà, finzione e sogno, e una rigorosa griglia strumentale regola i processi musicali non come un “programma”, tutt’al più come una carta di navigazione, che Pascal tiene in palmo di mano con serena competenza – ciò che guadagna alla tessitura musicale una speciale evidenza. La partitura non indugia in dettagli solistici, come accade in molti lavori operistici contemporanei; Francesconi crea piuttosto larghe campiture di colore che risuonano e hanno caratteri diversi secondo tre modalità: in primo piano, da lontano (l’orchestra fuori scena, diretta da Pascal grazie ad un raffinato sistema di proiezione), o da ancora più lontano (le aree del sogno, dominate da un’elaborazione elettronica live del suono veramente suggestiva e sapiente, ancora affidata a Serge Lemouton dell’IRCAM). I viluppi sonori ed emotivi sono spesso si direbbe squarciati da improvvisi avvenimenti percussivi o da dilatazioni della voce e dei suoni strumentali dovuti all’elettronica. Clima claustrofobico, una singola stanza sospesa a mezz’aria, interno/interiore dell’erotismo letterario, resa “viva” dai mille espedienti tecnologici della regia di Ollé e dal bell’apparato video di Franc Aleu. La scena acquista e cambia atmosfera in una dominante gamma di colori plumbei solcati da luci (curate da Marco Filibeck) non sempre solo sinistre grazie alla musica e alla ricchezza di linguaggio del canto, che abbraccia stili disparati dal madrigale al lirismo spinto, utilizzando tutte le modalità contemporanee – e i due protagonisti sono stati a lungo applauditi per la perfezione e intensità della loro interpretazione. Le cellule melodiche legate alle diverse fisionomie dei personaggi – che “sprofondano” nella psiche degli altri due personaggi a completare il quartetto, impersonandoli in una chiave espressiva molto elaborata – sembrerebbero organizzate come “formule”, per dirla in termini stockhauseniani. Una splendida musicalità complessa e però convincente, per un’opera che non a caso Francesconi ha voluto stilare in inglese, per inscriversi nelle linee dell’intonazione e del canto piuttosto di un Britten o dello Stravinskij della Carriera di un Libertino che degli iperconnotati linguaggi musicali tedesco o italiano. Il pubblico applaude, mosso dall’intensità della musica e turbato da quanto l’opera ha perfettamente rappresentato: l’implacabile e insanabile lutto della programmata rinuncia al calore del sentimento.