di Luciano Galliano
Il 1 dicembre si è avuto il recital pianistico di Aki Takahashi, pianista con una lunga carriera di assoluto rispetto nel campo della musica contemporanea, con innumerevoli prime esecuzioni di brani a lei dedicati e una predilezione speciale da parte di Morton Feldman. È stato dunque molto interessante ascoltarla in un programma composito e largamente classico: la Grazer Fantasie e la Variazione sul walzer di Diabelli di Schubert, Les Saisons di Čajkovskij, due brani del tardo Liszt accanto ad un lavoro del compositore americano Carl Stone, presente e partecipe all’esecuzione al computer, e due brani del grande compositore giapponese Jōji Yuasa. Il concerto si è tenuto in un ambiente molto particolare: il Museum Haus Kasuya, un piccolo museo di arte contemporanea sulle colline di Yokosuka, dove i coniugi Wakae espongono una bella collezione di lavori di Joseph Beuys, alcuni lavori di Nam June Paik ed altri quadri e installazioni di grandi artisti contemporanei; regolarmente vi si tengono anche interessanti concerti per un ristretto e sceltissimo pubblico di circa 60 persone.
Raramente eseguita, la Grazer Fantasie (1818) fu scoperta negli anni ’60 nella tenuta di Graz; non esiste un autografo, ma ci sono chiari elementi “schubertiani” come le scale cromatiche, i ritmi polonaise e la ricorrenza del lirico tema di apertura lungo tutto il corso del lavoro. Nell’esecuzione di Aki, nervosa e sonora, è risultato un inedito tenore vagamente improvvisativo, virtuosistico, con un senso continuo di irrequietezza e drammaticità – evidente ad esempio nella transizione più inaspettata quando, dopo la bella sezione di apertura, una breve scala cromatica discendente e una pausa aprono la brillante sezione Polonaise. A contrasto la fluida Variazione in do minore su un walzer di Anton Diabelli, più tarda (1821), e i cinque brani di carattere da Les Saisons di Čajkovskij (1875) – lavoro composto su ordinazione, la maggior parte dei brani in semplice forma ABA – pieni di rivelazioni melodiche, hanno dato adito alla pianista di esibire un pianismo più colorato e direi sorridente.
Molto cordiale e quasi leggero il brano Felix (2018) – nomen omen – di Carl Stone, con l’intervento elettronico dal vivo dello stesso compositore – di cui ben tre album hanno ricevuto la nomination da The Wire come best dell’anno. Calcolato ed efficace il contrasto con i due brani di Liszt, degli ultimi anni, centrati come sono su morte, disperazione e ricordi, drasticamente diversi dal primo periodo virtuosistico: la tessitura è più scarna, il contenuto emotivo cupo e austero, le melodie limitate; la dissonanza prevale e spesso la tonalità è ambigua. In particolare Nuages Gris, per quanto semplice nelle armonie, ha un aspetto oscuro, quasi morboso, e Aki ha sottolineato questi caratteri stratificati e molteplici con un interessante lavoro sulle dinamiche e il pedale.
Chiudevano il concerto i due brani di Yuasa, grande compositore che quest’anno ha compiuto 90 anni. Il primo Cosmos Haptic III del 1986, molto intenso e virtuosistico, di grande articolazione e a tratti addirittura massiccio, molto richiede all’interprete; il secondo del 2013 è originalmente un brano per canto e voce, una sorta di struggente ninna nanna per i morti nella tragedia del Tohoku – il titolo significa “riposa” – di cui Aki, con il consenso del compositore, interpreta spesso solo la parte pianistica.
La grande gamma di colori e climi efficacemente proposta da Aki Takahashi ha entusiasmato il piccolo e sceltissimo pubblico, che ha ottenuto un encore, la prima Gymnopedie di Erik Satie. Poi, come usa nel piccolo elegante museo, un ottimo dîner con vino altrettanto buono ha consentito agli ospiti di parlare con gli interpreti e scambiarsi opinioni e commenti.