di Luca Chierici
Baritono che ha alle spalle una notevole carriera anche alla Scala, dove ha coperto ruoli importanti e di carattere versatile da Strauss a Mozart, Wagner e lo Schubert del raramente eseguito Fierrabras, Markus Werba ha riaperto la stagione d’inverno con un capolavoro che dà appunto voce all’inverno tetro e senza speranza dipinto nel ciclo di Lieder di Wilhelm Müller, musicati da Schubert nel periodo estremo della sua breve esistenza.
Di Winterreise se ne sono ascoltati tanti alla Scala e altrove (alla Società del Quartetto, con Christa Ludwig, il pianista era lo zio di Markus, Erik) e l’interpretazione di questo capolavoro pone al cantante e al suo accompagnatore problemi non da poco. Ogni sillaba ha un proprio profondo significato, ogni accento pianistico deve essere sottolineato sia con estrema delicatezza che a volte con feroce determinazione, moltiplicando le difficoltà che sia il testo che la musica offrono ai protagonisti.
Su queste colonne, pensando al concerto tenuto otto anni fa da Jonas Kaufmann e Helmut Deutsch avevamo passato in rassegna diverse occasioni di ascolto della Winterreise, segnalando in una indimenticabile serata con Fischer-Dieskau e Sawallisch, nell’oramai lontano 1980, il punto più alto di una sintesi artistica di livello assoluto. Il particolare dell’abbraccio finale tra i due illustri artisti può apparire oggi un ricordo che ha del patetico, ma è fuori dubbio che l’abbraccio, convertito in più formale stretta di mano tra Kaufmann e Helmuth Deutsch e in gelido distacco iniziale tra Werba e il pianista Michele Gamba faccia parte di un comportamento, di una consuetudine che ritiene un certo significato.
Werba ha affrontato i lieder di Winterreise più con energia che con abbandono di mezze voci, e con una dizione musicale piuttosto uniforme, sostenuto con buona ma non eccezionale perizia da Gamba, il quale ultimo ha riscattato un inizio non memorabile con maggiore confidenza nei Lieder successivi, ad esempio nel fantastico Lindenbaum, dove il pianista ha fatto valere le ragioni del canto. Che poi Schubert e in particolare Winterreise si collochino all’interno di quanto più alto si possa ancora oggi ascoltare è dato di fatto incontrovertibile e ciò che gli interpreti non riescono a trasferire appieno al pubblico viene come rielaborato dall’ascoltatore stesso, soggiogato dalla bellezza dell’insieme. Successo caldo in una sala non pienissima ma tutto sommato partecipe e attenta.