Vincitore a soli vent’anni, nel 2021, del Concorso genovese intitolato a Paganini, il violinista Giuseppe Gibboni ha tenuto un applaudito recital come solista per le Serate Musicali, affiancando pagine di Bach, Paganini, Ysaÿe e Schnittke. Era da molto tempo che non si ascoltava in sala un modo di affrontare la letteratura per violino solo in maniera così attenta e precisa e la serata ci ha indotto a qualche considerazione diciamo così curiosa.
Non sono mancate nelle nostre esperienze passate e anche più recenti le possibilità di assistere a concerti durante i quali si esibivano violinisti di qualità eccelsa anche in programmi solistici dedicati ad esempio a Bach o Paganini o Ysaÿe. Se si mettono da parte le presenze eccezionali di strumentisti quali Milstein o Szeryng o Menuhin, per i quali le qualità timbriche, la precisione assoluta, il virtuosismo e la felicità interpretativa raggiungevano livelli astrali, ricordiamo anche violinisti, soprattutto in Paganini, che forse brillavano più per l’impeto esecutivo che non per la precisione immacolata, spesso difficilissima da rispettare. Per le Serate Musicali i Capricci di Paganini in forma completa erano ad esempio stati eseguiti da Ruggiero Ricci nel 1982 e il ricordo, testimoniato da appropriata registrazione dell’evento è quello di una bellissima sequenza mozzafiato di esecuzioni cui mancava semmai una base di precisione, di rispetto assoluto del segno scritto, del resto bilanciato appunto dall’emozione del completo coinvolgimento dell’interprete.
La performance di Gibboni (sette Capricci, compreso un bis) ci ha allo stesso tempo meravigliato positivamente per la pulizia straordinaria dell’esecuzione e quasi intimorito per la quasi troppo perfetta analisi del testo, come se nell’esecuzione stessa mancasse quel quid di imprecisione dovuto alla più che comprensibile foga interpretativa. È ovvio come un solista possa e debba scegliere di spingersi su uno piuttosto che sull’altro versante e che un perfetto bilanciamento dei due aspetti sia praticamente impossibile da raggiungere. A questa considerazione pensava Eugène Ysaÿe quando metteva mano alle sei Sonate per violino solo (1923-1924) al termine della propria carriera, pensando a sei caratteri distinti di violinismo dedicati ad altrettanti virtuosi tra i più eccellenti dell’epoca, ciascuno con la propria specificità di solista. Le dediche delle Sonate ai nomi di Szigeti, Thibaud, Kreisler, Enesco e i meno noti Mathieu Crickboom, già allievo dello stesso Ysaÿe e secondo violino nel suo Quartetto, e Manuel Quiroga significava la visione di una ideale continuazione di una civiltà strumentale in evoluzione continua. Gibboni ha scelto l’altra sera la sesta sonata dedicata a Quiroga ma in questo caso non ci sentiremmo di tentare un parallelo tra i due violinisti, certi come siamo che Gibboni potrebbe eseguire con la stessa maestrìa tutte e sei le componenti del ciclo. Il Bach della prima sonata in sol minore è stato anch’esso esemplare e di notevole qualità è sembrata anche l’esecuzione del lavoro piuttosto ampolloso dedicato da Schnittke “A Paganini”. Grande successo di pubblico, purtroppo non così numeroso come l’evento avrebbe meritato.