di Attilio Piovano
Sembra ieri, e invece sono trascorsi esattamente trent’anni da quando nacque l’Orchestra Sinfonica Nazionale Rai. Era il 1994 e, come di certo molti affezionati ascoltatori dei programmi radio ricordano, oltre che beninteso il fedele pubblico del capoluogo subalpino, a Torino si costituì l’OSNRai: nata dalla fusione di ben quattro orchestre dell’ente radiotelevisivo di Stato (la prima in assoluto era stata l’Orchestra Rai di Torino, nata ai tempi dell’EIAR negli anni Trenta del Novecento, poi vennero quelle di Milano, Roma e Napoli). I costi per il mantenimento di quattro compagini e di un coro, ahinoi mai più ricostituito, si erano fatti insostenibili, peraltro erano ormai mutate le esigenze che un tempo avevano suggerito l’istituzione di siffatte compagini per poter garantire musica live di ottima qualità e così pure un repertorio di registrazioni da far circuitare in radio (e poi in tv).
E così, sia pure con sofferenza e a malincuore, si decise per far confluire i quattro complessi orchestrali in un’unica grande formazione. Che da allora tiene regolari stagioni presso l’Auditorium ‘Toscanini’ di Torino: questo nel frattempo ha goduto di rilevanti lavori di miglioramento acustico e ambientale, pur nel rispetto del dettato molliniano, unico rammarico la mancata ricollocazione del grande organo Tamburini, tuttora stoccato in un magazzino, del quale restano visibili le pur coreografiche canne di facciata. Sul podio di OSNRai salgono regolarmente le più celebri bacchette del gotha internazionale, da sempre in abbinamento a solisti di vaglia e con programmi che spaziano dal Barocco al contemporaneo; non solo, l’OSNRai è spesso ospite di prestigiosi Festival Europei, incide cd, effettua tournée e via elencando. Ed è oggi – oseremmo dire – specie dopo le recenti immissioni di linfa giovane, con gli svariati e severissimi concorsi, sicuramente tra le più blasonate orchestre italiane note ed apprezzate in tutto il mondo (assieme e S. Cecilia, al Maggio Musicale e alla Filarmonica Scaligera).
Ed è per festeggiare la rilevante ricorrenza che si è deciso di proporre, fuori abbonamento, prima ancora dell’inizio della regolare stagione 2024/25, due concerti dai programmi ‘storici’ ovvero che ricalcano fedelmente quelli diretti nel 1994 rispettivamente da Prêtre e Sinopoli, affidandoli ora all’attuale Direttore principale dell’OSNRai, il colombiano Andrés Orozco-Estrada dal ricchissimo e prestigioso palmarès. Molto affollata, anche da parte di giovani (ed è un bel segno, frutto del grande lavoro condotto in maniera capillare su ampie fasce di potenziale nuovo pubblico) la prima delle due serate, quella di mercoledì 25 settembre 2024. In apertura figurava la straussiana suite da Der Rosenkavalier, op. 59 della quale Orozco-Estrada, ottimamente assecondato dalla compagine, ha evidenziato senza riserve certi esacerbati apici dinamici, i luminescenti clangori che dominano nella partitura, ma altresì i tratti più delicati e lievi, quasi accarezzandoli. E allora quanta grazia e raffinatezza profuse nel Tempo di Valse, con quello sguardo retrospettivo e nostalgico verso un passato irrimediabilmente perduto (senza peraltro lo spirito lucidamente corrosivo di un Ravel nella celeberrima Valse, vero epicedio di un’epoca), estrema cura dei dettagli e nel contempo una visione d’insieme per grandi pennellate che ha trascinato il pubblico, inducendo calorosi applausi (lo hanno potuto constatare del resto anche gli ascoltatori da casa sintonizzati su Rai Radio 3 o in live streaming, Rai Cultura trasmetterà successivamente il concerto su Rai5). Una pagina datata 1910 che, grazie alla direzione di Orozco-Estrada, non ha perso nulla della sua primigenia fragranza e modernità. Un capolavoro in cui c’è spazio per brillantezza e comicità, eros e tenerezza, sentimentalismo e arguzia, in un prodigioso equilibrio, il tutto rivestito da una strumentazione di sovrumana bellezza. E la fascinosa esecuzione proposta ne ha posto in luce tutto l’incontaminato charme.
Così pure, si sa, non ha perso un briciolo della sua originalità il celeberrimo e coevo Oiseau de feu che Stravinskij compose per i mitici Ballets Russes dell’altrettanto mitico Diaghilev. E si tratta della prima grande partitura stravinskijana di enorme successo, appartenente al cosiddetto periodo franco-russo, ovvero fauve, un capolavoro del quale si ascolta di norma la Suite dal balletto op. 20 (risalente al 1919). Orchestra e direttore hanno dato vita a una fantasmagoria di timbri che raramente accade di percepire. Ne è emersa un’interpretazione incandescente, pirotecnica e accattivante entro la quale mai veniva meno la tensione, nemmeno nei tratti onirici e smagati che pure caratterizzano il lavoro. L’uccello di fuoco, infatti, non è solamente la Danza infernale di Kascej, ma anche la delicata tramatura dell’ipnotica Berceuse, prima del superbo Final nel quale direttore e orchestra hanno spinto al massimo, sempre però con eleganza e misura.
E poi, per chiudere in bellezza, un’esecuzione da manuale del raveliano Boléro, esattissima nella scansione ritmica e nei dettagli (appena qualche piccola sbavatura qua e là in certe emersioni solistiche). Assai apprezzato il calibrato dosaggio della dinamica, che del Boléro costituisce l’essenza e, forse più ancora, l’abile e quasi impercettibile accelerando che innesca l’eccitazione, inebriando pubblico e orchestrali stessi, giù giù sino al catartico, altisonante epilogo. Un’interpretazione della quale conserveremo a lungo graditissima memoria.
Ancora Andrés Orozco-Estrada sarà protagonista del secondo appuntamento celebrativo, la sera di lunedì 30 settembre 2024, con un programma questa volta non più sul versante novecentesco, bensì tutto sul côté romantico e tardo romantico, e dunque Quarta di Schumann e superba Quarta di Brahms dalla monumentale Passacaglia conclusiva. Da non perdere.