di Luca Chierici
Un rientro alla grande per Riccardo Chailly è quello che lo ha visto alla guida di due appuntamenti di cui si parlava già da tempo. Il direttore milanese è stato protagonista del concerto inaugurale di MiTo e della proposta dei raramente eseguiti Gurre-Lieder di Schoenberg alla Scala, con un afflusso di pubblico davvero notevole.
L’appuntamento che ha dato il via a MiTo, la rassegna che da anni fa da gemellaggio tra i due capoluoghi, si caratterizzava per la presenza delle note Dédicaces di Berio, impaginate postume da Boulez e rivelanti la somma capacità del musicista ligure nel giocare con gli impasti sonori della grande orchestra. Ma ancor di più rilevante è stata la prima esecuzione scaligera di Dis-Kontur del recentemente scomparso Wolfgang Rihm, figura geniale della musica contemporanea che è stata ricordata da Chailly con l’affetto di una amicizia pluriennale (come era stata del resto per il direttore milanese l’amicizia con Luciano Berio). Dis-Kontur, è un grande affresco sinfonico composto nel 1974, quando Rihm era appena ventiduenne, che si caratterizza esteriormente anche per la presenza di percussioni giocate con grande inventiva per tutta la durata del pezzo. E i ben cinquantuno colpi di martello (che amplificano numericamente i ben noti luoghi della sesta sinfonia di Mahler) sono effettivamente una trovata orchestrale che resta impressa nella memoria dell’ascoltatore, né più né meno che l’invenzione sonora di tutte le altre componenti (percussive e non) che animano la straordinaria composizione. Al confronto, le Suites da Daphnis et Chloé di Ravel ci riportavano indietro nel tempo, senza farci dimenticare comunque che la loro data di composizione (1912) era anch’essa un motivo di meraviglia per ammirare la abilità virtuosistica del compositore nel trattamento dell’orchestra.
A soli tre giorni di distanza Chailly e la Filarmonica si sono misurati con quel relativamente poco conosciuto capolavoro giovanile di Schoenberg che sono i Gurre-Lieder, composti verso il 1900 e per dieci anni rielaborati senza perdere però la freschezza dell’opera che precede la grande rivoluzione costituita dal linguaggio dodecafonico, un lavoro imbevuto quindi degli amati esempi soprattutto del tardo wagnerismo, ma anche dei caratteri del tardo Brahms e costruito su uno schema drammaturgico complesso e di immensa portata. Cantata per cinque solisti vocali (più un sesto narratore che utilizza una sorta di Sprechgesang) quattro cori e grande orchestra, i Gurre Lieder sono musicati su un testo del poeta danese Jens Peter Jacobsen che sullo sfondo di un castello di Gurre, in Danimarca, narra di una tragedia amorosa che intercorre nel medioevo tra il Re Waldemar e la giovane amante Tove. Quest’ultima viene fatta uccidere dalla moglie di Waldemar, la Regina Helvig ma tutta la vicenda si risolve in una eco di un luogo letterario che è ambientato nel mito della “caccia selvaggia”: Waldemar e Tove vengono dapprima sostenuti da una natura amorevole nei loro confronti, ma l’uccisione di Tove trasforma i sentimenti del primo in una sorta di disperata ribellione che portano alla “caccia selvaggia” e alla visione dei cavalieri di Waldemar che escono dalle loro tombe. La ribellione di Waldemar è però destinata a una redenzione finale che musicalmente si realizza in un “do maggiore” trionfale e rappacificatore.
I cantanti che hanno partecipato alla realizzazione di questo intenso capolavoro si sono spesi in ugual modo a dar voce alle loro difficili parti: si sono notati soprattutto il soprano Camilla Nylund (Tove), il tenore Andreas Schager (con qualche inciampo nella impervia parte di Waldemar) il mezzo (Okka von der Damerau), sensibilissima Voce della colomba del bosco. Nella seconda parte si è ascoltato il solo Schager mentre nella terza parte (“la caccia selvaggia”) grande risalto hanno avuto il baritono Michael Volle e il tenore Norbert Ernst. L’importanza del coro in questa partitura è altissima e ha visto uniti il complesso della Scala diretto egregiamente da Alberto Malazzi e il magnifico Chor des Bayerischen Rundfunks diretto da Peter Dijkstra. L’Orchestra Filarmonica della Scala ha dato prova di virtuosismo estremo ed è stata additata dal direttore per gli applausi in tutte le sue componenti. Enorme il successo di pubblico, con ovazioni particolarmente indirizzate nei confronti del direttore mentore di entrambe le serate.