di Luca Chierici
A sessantatré anni di distanza dall’unica rappresentazione tenutasi alla Piccola Scala nel 1961 torna finalmente nel teatro milanese quell’Orontea di Cesti andata in scena per la prima volta nel lontano 1656 a Innsbruck e poi ripresa nei teatri di tutta Europa con grande successo. Importante è oggi questo allestimento per il nostro Teatro, nel solco di una riscoperta di titoli del melodramma italiano del Seicento che ha già visto andare in scena di recente La Calisto di Francesco Cavalli e Li zite ‘ngalera di Leonardo Vinci. Oggi è Giovanni Antonini il direttore prescelto e la regìa è affidata a Robert Carsen con le scene e costumi di Gideon Davey. È un recupero che ci porta ad avanzare diverse considerazioni sulla struttura di un’opera come quella di Cesti, nella quale hanno importanza recitativi, arie, intermezzi orchestrali ma in maniera differente da quella attraverso la quale siamo abituati a leggere i melodrammi dal primo Settecento in avanti. E anche la vocalità richiesta ai protagonisti è diversa da quelle posteriori, oltre a richiedere agli stessi delle capacità attoriali non comuni.
La scelta artistica odierna per un’opera come Orontea tiene conto di molti fatti. Ad esempio il ruolo di Alidoro che è transitato prima dal contralto poi al tenore per arrivare oggi al controtenore. Un altro particolare non da poco è stato quello, da parte di Antonini, del considerare un basso continuo il più ricco possibile (liuti, arpa barocca, lirone, violoncello, viola da gamba, organo…) che ha veramente vivacizzato i vari intermezzi strumentali e accompagnato gli interventi dei solisti di canto in un “recitar cantando’ che non è paragonabile al recitativo secco settecentesco. Queste scelte hanno contribuito a confezionare un’Orontea “su misura” per la Scala odierna portando al successo un titolo che sulla carta poteva rappresentare un rischio per la sua lunghezza – tre ore e mezza intervalli compresi – e una proposta musicale al di fuori del consueto.
A ravvivare le scene ci ha pensato Carsen, che vede questo lavoro come opera sperimentale, post-monteverdiana, e trasforma l’ambientazione originale in Egitto, poco sviluppata nel libretto, in una più moderna in una Milano all’interno di una galleria d’arte dove è tutto un turbinio di incontri, di preparazione di mostre, di scambi personali e culturali. L’antica ambientazione storica diventa quindi una commedia scoppiettante che infonde ancora più anima a una musica di eccellente valore. Orontea (qui Stéphanie d’Oustrac) è la Direttrice della Galleria, personaggio attuale, indipendente, che immersa nel suo lavoro e alle sue relazioni a tutto pensa fuorché all’amore. Ma arriva Alidoro (Carlo Vistoli), pittore ambizioso che fa strage di cuori e cambia tutto, Orontea deve affrontare dei sentimenti che non ha mai conosciuto e scopre dei lati fragili di se stessa. Altri personaggi contribuiscono a complicare il soggetto: Silandra (Francesca Pia Vitale) ambisce ad essere Orontea, ama Corindo ma anche Alidoro e contribuisce allo sviluppo di una commedia degli equivoci cui partecipano altri personaggi importanti come Corindo appunto (Hugh Cutting) che alla fine sposerà Silandra, Gelone (Luca Tittoto) il basso buffo di prammatica, Creonte (Mirco Palazzi), Giacinta (Maria Nazarova), Tibrino (Sara Blanch) e Aristea (Marcela Rahal). È curioso il fatto che, nonostante l’ambientazione attuale, via via che il lavoro procede il soggetto degli amori contrastati tra i vari personaggi tutto sommato ha la meglio sul contorno della Milano impegnata e senza tregua con tutti i suoi riferimenti ambientali. In altre parole, nonostante il cambio di rotta dall’Egitto al nostro capoluogo, è pur sempre la storia d’amore a trionfare, come era il caso delle antiche rappresentazioni dell’opera. Opera che ha avuto un successo considerevole nonostante la lunghezza e l’atipicità. Gli interpreti principali hanno dovuto far forza sulla mancanza di vere e proprie arie (ce ne sono, ma non di quelle “con l’applauso finale”) e soprattutto sulla loro capacità, ovviamente guidata dal regista, nell’affrontare un testo complesso e una ambientazione altrettanto insolita. A loro sono stati rivolti applausi finali da grande serata (il teatro era pieno di ascoltatori, anche stranieri) così come estremo successo ha sperimentato Antonini e l’Orchestra della Scala in “versione pre-barocca” e i fautori della parte scenica. Da non dimenticare.