di Monika Prusak
Una collaborazione fruttuosa quella tra Rai Radio 3 e l’Accademia Filarmonica Romana, che ha visto il musicologo Giovanni Bietti alle prese con la musica vocale da camera polacca in una delle sue note Lezioni di musica, condotte per l’occasione dal vivo nella Sala Casella dell’Accademia Filarmonica Romana e trasmesse alla radio. Ad affiancare lo studioso una coppia di artisti polacchi, il mezzosoprano Katarzyna Otczyk e il pianista Jakub Tchorzewski, che hanno alternato alle spiegazioni alcune delle pagine più suggestive del repertorio cameristico per voce e pianoforte del XIX e del XX secolo.
Il programma, basato sulle musiche di tre compositori rilevanti della storia della musica polacca, è iniziato con il più acclamato, Fryderyk Chopin, del quale la cantante ha eseguito cinque dei Canti polacchi Op.74, molto gettonati in Polonia, ma per ovvie ragioni meno conosciuti altrove. I canti sono stati organizzati in maniera contrastante per quel che riguarda il carattere e le tematiche, alternando i temi patriottici a quelli più popolareggianti, movimentati e spiritosi. Nonostante una scrittura poco elaborata di Chopin, si tratta di brani di forte carica emotiva e di grande spirito accentuato dall’impiego di testi poetici di alcuni dei maggiori autori polacchi dell’epoca, come Stefan Witwicki, Zygmunt Krasiński e Wincenty Pol.
Il programma è continuato con Tre canti Op. 32 di Karol Szymanowski basati sui testi del poeta russo Dymitri Dawydow nella traduzione di Jarosław Iwaszkiewicz, pervasi da atmosfere impressioniste e immagini tipiche degli inizi del Novecento, con a seguire Il cigno, canto più maturo dal punto di vista testuale, armonico e stilistico. Rispetto alla scrittura chopiniana, le composizioni di Szymanowski portano a una dimensione più interiore del canto, sia per quel che riguarda i testi incentrati sulla simbologia del sole – l’aurora splendente dell’alba o i raggi pallidi d’autunno – e della luna “spenta”, attorniata da ombre e dalle nuvole ammassate che fanno paura, sia per l’elaborazione sonora del pianoforte, la cui densità preannuncia un cambiamento netto di approccio al dialogo tra i due interpreti. Le atmosfere si addensano maggiormente nel Cigno, basato su un sonetto di Wacław Berent, che vede il protagonista volare nel “cupo terrore delle aurore sanguinose”, nuotare nelle “acque del desiderio” e annunciare “la morte delle illusioni della vita”, che simboleggia il mondo interiore di un artista sospeso tra dubbio e disperazione, dove la consapevolezza fa intrecciare la bellezza con dei fantasmi.
A concludere la serata i Cinque canti con testi di Kazimiera Iłłakiewiczówna, tratti da Rime infantili di Witold Lutosławski composte intorno alla metà del XX secolo, che rappresentano un filone tipico del periodo, di elaborazioni, spesso molto complesse dal punto di vista stilistico, di poesie semplici dedicate al mondo dei bambini. Le cinque miniature impiegano in maniera sapiente la scala cromatica e i cluster che ne derivano, differenziando i singoli brani in base alle immagini “calde” o “fredde” rappresentate dal testo poetico, dando così una prova alta della ricerca armonica e sonora di una musica illustrativa ma non prevedibile.
Katarzyna Otczyk e Jakub Tchorzewski propongono una lettura estremamente coinvolgente delle musiche in programma in continuo crescendo timbrico ed espressivo. Vocalmente scomodi, ma pieni di tensione i Canti di Chopin, creano un’introduzione valida alle musiche dei due compositori novecenteschi. L’interpretazione di Otczyk diventa sempre più introspettiva: dalla superficialità popolare chopiniana all’inquieta scrittura di Szymanowski e a quella più complessa di Lutosławski. La completa l’espressività di Tchorzewski, che da un semplice accompagnatore in Chopin si trasforma in un partner di pari importanza, tormentato e profondo nel Szymanowski e alla ricerca sonora dei contrasti nel Lutosławski. Giovanni Bietti svolge la sua lezione senza recare disturbo alla continuità interpretativa dei due artisti. Il pubblico applaude fino al magnifico bis: Parlami ancora del compositore polacco Mieczysław Karłowicz con il testo di Kazimierz Przerwa-Tetmajer.