Lapis roulant • Dopo la popolarità e il successo degli ultimi decenni, sembra incerto il futuro dei brevi filmati che accompagnano le canzoni in un percorso parallelo per immagini: corrono il rischio di diventare obsoleti?
di Rosario Vigliotti
N el 2004 chiesi ad Alessandro Baricco se giudicava possibile che in un futuro non tanto lontano i giovani avrebbero ascoltato la musica prevalentemente dai videoclip. Lo scrittore torinese aggrottò le sopracciglia e rispose che esistevano le condizioni perché accadesse. Era l’anno in cui i computer palmari riproducevano file video e gli iPod della Apple passavano gli mp3. Circa dodici mesi dopo, l’azienda di Cupertino lanciò sul mercato l’iPod di quinta generazione, in grado di riprodurre anche i video, e due anni dopo partorì l’iPhone. Nel frattempo, nel 2006, la Google Inc. aveva inaugurato YouTube, attualmente il terzo sito più visitato al mondo, da cui si taggano i video verso Facebook e gli altri social network.
Concepiti come idea in Italia negli anni ’60, nel volgere di un ventennio i videoclip si sono trasformati in minifilm con sceneggiature spesso non attinenti ai testi delle canzoni, o in cortometraggi di sequenze animate o documentaristiche. MTV, precorritrice dei canali televisivi dedicati ai video musicali, ha iniziato a trasmettere da New York nel 1981 e, visto il successo riscosso sul pubblico di giovanissimi e di giovani e l’impatto rilevante registrato dall’industria musicale, è stata affiancata negli anni da emittenti televisive simili sparse per il mondo. I videoclip sono andati così perfezionandosi, e non è raro che siano affidati a registi e attori di grido. A volte sono inclusi nei cd, in coda alle tracce musicali. Nonostante tutto questo, nel novembre scorso Apriti Sesamo, di Franco Battiato, è balzato in testa alla classifica degli album più venduti in Italia, sebbene Passacaglia – il testo è adattato a Passacaglia della vita, del compositore seicentesco Stefano Landi – avesse un “banale” lyric video, con i testi sovrapposti, come nel karaoke, ad un’immagine monocromatica; nello stesso mese, Skyfall, della cantautrice britannica Adele, è risultato il singolo più scaricato su Internet, pur mostrando nel video i testi davanti al “semplice” cielo in fiamme che fa da sequenza iniziale all’omonimo film con James Bond.
È forse questo il preludio della fine per le clip musicali? Di certo è ancora troppo presto per dirlo. Negli Stati Uniti per un cantante o per un gruppo musicale è importante che la propria clip sia trasmessa dalle tivù, ma il successo vero lo si raggiunge quando la canzone passa su radio Top 40. Per i giovanissimi e per i giovani di tutto il mondo i minifilm costituiscono un comodo e gratuito mezzo per “vedere” la musica e classificarla, in previsione di riascoltarla come mp3 o da cd. E se si sostiene che le canzoni di oggi stiano ai videoclip un po’ come certe canzoni di inizio ’900 stavano alla Sceneggiata, quando la musica la si sceglieva in anticipo pagando il biglietto per andare a teatro, va ricordato che quelle canzoni non sono cadute nell’oblio benché siano madri o figlie di un teatro popolare esauritosi in meno di un secolo. In quanto al ritmo crescente con cui avanza la tecnologia ai nostri giorni e alla facilità con cui si può arrivare alla ribalta, molti videoclip si basano su sceneggiature complesse ed effetti speciali per non risultare “vecchi” già dopo poche settimane; un po’ come, per certi versi, fa da tempo il Teatro con la ricerca di regie, scenografie e costumi che tengano il passo con i tempi, senza tradire qualcosa che è stato concepito due o venti secoli fa.
L’immagine può influire sulle modalità di ascolto − non a caso molte radio si sono attrezzate per trasmettere video musicali da studi televisivi − ma è difficile stabilire fino a che punto e quanto potrà continuare a farlo in merito alle scelte, probabilmente perché pure per chi sessanta o settanta anni fa ascoltava la Lirica alla radio, un’opera starà alla sua rappresentazione in teatro come una canzone sta al suo videoclip, ma una bella “aria” era, è, e rimarrà per sempre una bella “aria”. Alla pari di una bella canzone. In fondo, quando si parla di modalità d’ascolto, forse le cose erano cominciate a cambiare nel 1979, con la commercializzazione del Walkman della Sony, o forse decine di anni prima, con l’invenzione del mangiadischi, o forse ancor prima, negli anni Trenta, con l’autoradio. Ma se questo è vero, come si spiegano allora il miliardo e 150 milioni di contatti registrati su YouTube fino a questo momento da Gangnam Style? Perché tanto successo? Che ne sarebbe stato di questa canzone senza la regia, il montaggio e la fotografia dell’esilarante video, e senza la performance da cantante-ballerino del rapper sudcoreano Psy? E facendo un salto indietro di quasi trent’anni, avrebbe Thriller di Michael Jackson venduto più di 115 milioni di copie in tutto il mondo senza il celebre videoclip? E continuando a ritroso nel tempo: avrebbe Nel blu dipinto di blu cambiato la storia della Canzone Italiana senza la rivoluzionaria interpretazione televisiva di Domenico Modugno? E ancora, che ne sarà fra cento anni di queste canzoni?
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