di Fabio Zannoni
Un dedalo di materiali, editi e inediti costituisce l’ossatura e la struttura stessa di un libro come Amore e curiosità, di un Bruno Maderna, autore ‘a sua insaputa’, di questa monumentale raccolta di testimonianze curata da Angela Ida de Benedictis, Michele Chiappini e Benedetta Zucconi (Bruno Maderna, Amore e curiosità, scritti, frammenti e interviste sulla musica, Il Saggiatore, pag. 887, € 65.00).
Sì, perché a fronte di una certa refrattarietà del compositore veneziano (scomparso nel 1973 e di cui nel 2020 si celebrava il centenario della nascita) ad esporre in forma sistematica le proprie idee sulla musica, la copiosa documentazione raccolta dagli autori, con riflessioni, lettere, scritti estemporanei, interviste, programmi di sala, conferenze, presentazioni, colloqui, dibattiti, ha fatto sì che si potesse ricostruire l’itinerario di un pensiero. Un pensiero – o se vogliamo una filosofia della musica – che è maturato parallelamente alla sua evoluzione compositiva: da uno stile degli esordi giovanili, che guardava a Bartok e Hindemith, attraverso l’adesione alla dodecafonia schönbergiana, quindi con le prime sperimentazioni elettroniche negli anni Cinquanta, assieme Luciano Berio, negli studi di fonologia musicale della RAI di Milano e con il ruolo di protagonista che, all’epoca, assunse all’interno dei Ferienkurse di Darmstadt, fino, negli ultimi anni, ad un uso disinvolto ed eclettico di modelli e materiali propri di un’esperienza musicale matura ed estremamente aperta. Un’esperienza che, anche attraverso l’insegnamento di Gianfranco Malipiero, ha voluto approfondire lo studio della musica antica e barocca, in particolare quella rinascimentale, Monteverdi fino a Vivaldi, parallelamente ad un’attività direttoriale che lo ha portato alla a dirigere le più importanti orchestre del panorama dell’epoca.
Ciò che preme agli autori è una messa a punto del rilievo della sua figura di compositore rispetto alla vulgata di una critica che, dopo la sua morte prematura all’età di cinquantatré anni, lo aveva messo in una posizione di minor rilevanza rispetto ad altri esponenti dell’avanguardia del secondo Novecento, come Berio, Nono, Boulez o Stockhausen: ciò per una serie di clichés che gli venivano affibbiati, quelli propri di un personaggio tutto genio e sregolatezza, di un bon vivant che, nel disordine di una vita artistica estremamente movimentata, con partiture smarrite altre abbozzate, non avrebbe organizzato in maniera sistematica e coerente il proprio lavoro di compositore.
Ma è proprio la grande ricchezza di questo disordine è ciò che emerge dagli scritti di questa preziosa raccolta: una vastità di riflessioni che abilmente sono state ordinate in modo da orientare la lettura e l’organizzazione delle tipologie degli argomenti trattati: dalla “gioia di far musica”, alle considerazioni su come si può pensare un’avanguardia assieme ad una “rivoluzione nella continuità”, riconsiderando cioè anche i modelli delle le tradizioni musicali più antiche. Emerge quindi, da parte del compositore veneziano, un forte il rilievo dato all’espressione – ponendosi in aperto contrasto con le posizioni di Stockhausen – rispetto alla tecnica ed alla minaccia del dominio della tecnologìa, manifestando nello stesso tempo una grande curiosità ed entusiasmo per l’elettronica, con le sperimentazioni di composizioni che venivano affiancando suoni strumentali a quelli elettronici, con pezzi come Musica su due dimensioni. Così in numerose interviste, a fronte delle continue sollecitazioni che gli chiedevano di motivare l’impatto e la difficoltà della ricezione della musica contemporanea, egli come direttore si poneva con un atteggiamento quasi pedagogico, volto come ad educare all’ascolto un certo pubblico, facendosi promotore di programmi, che con un impianto marcatamente ‘storicista’, mescolava brani di varie epoche dal Rinascimento alle Avanguardie, arrivando a sostenere che «in realtà la cultura musicale, dal Rinascimento a oggi, è compresa in un arco solo: ed è tutta moderna».
Emerge forte, tra gli infiniti spunti che affiorano qua e là, un deciso impegno sociale, assieme ad un’acuta esigenza di comunicare – «desiderio di rendere il comporre un fatto umano e comunicativo» – così come una prospettiva marcatamente umanistica, paventando il pericolo dell’annullamento dell’individuo nella società di massa. Maderna, in una conversazione densa di un’intensa carica partecipativa, arriva così ad ad inseguire miraggi e prospettive utopiche ed idealistiche di una società che accetti e tolleri “l’uomo come esploratore”, augurandosi che possa esserci «una terra ideale, dove possano vivere anche i poeti, anche quelli anarchici».