Non crea mezze misure: Monaco lo ha stroncato, Milano lo applaude. Il direttore d’orchestra, fresco della nomina di Chef Dirigent del Concertgebouw, sceglie un programma raffinato che ruota intorno alla Sinfonia, al Poema Sinfonico ed Ouverture nel periodo romantico
di Luca Chierici foto © Silvia Lelli
IL GRADO DI PREPARAZIONE DI UN’ORCHESTRA come la Filarmonica, la lucida analisi, la preparazione tecnica e l’indubbio coinvolgimento che sono alla base di ogni nuova scelta che proviene da un direttore molto amato dal pubblico milanese come Daniele Gatti non possono oggi che assicurare l’ottima riuscita di concerti come quello che l’altra sera ha riscosso consensi ai limiti dell’entusiasmo. Si trattava, è vero, di un’occasione particolare che strappa al pubblico anche un applauso di ammirazione per un direttore che ha compiuto un ulteriore passo nella propria carriera con la nomina a Chef Dirigent della Concertgebouworkest, ma non si può negare che vi fossero molti motivi per partecipare al plauso generale.
Orpheus non era forse l’esempio più indicativo tra i Poemi sinfonici, e la lettura della Faust-Ouvertüre di Wagner mancava a volte di nerbo
Programma forse esageratamente raffinato, che gravitava attorno al significato di Sinfonia, Poema Sinfonico, Ouverture nella stagione romantica e che allineava nel primo tempo due partiture emblematiche del modo di intendere questi termini e la loro costruzione formale da parte di Liszt e di Wagner. A seguire la Seconda Sinfonia di Schumann, che oggi, assieme ai tre lavori gemelli, sembra conoscere un nuovo periodo di fortuna e di riscoperta. Abbado si era rivolto alla Seconda nell’ultimo periodo della propria attività e anche ripensando alla sua magistrale interpretazione siamo rimasti in parte insoddisfatti dal concerto dell’altra sera. Ferme restando le caratteristiche più che positive da noi elencate in apertura, quello che oggi ci si attende da un direttore del calibro di Gatti è una proposta che oltrepassi l’eccellenza tecnica e si inoltri più a fondo nei significati intimi di una partitura.
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Mentre si rimane in uno stato di ammirazione per la cura del dettaglio, la realizzazione dei dialoghi tra strumenti solisti, la scelta di sottolineare un lato cantabile e “italiano” particolarmente congeniale alla nostra orchestra, allo stesso tempo si coglie la mancanza di una visione più unitaria, sia dal punto di vista narrativo che da quello della fusione delle singole voci. Si tratta anche di scelte, questo è vero, e siamo grati a Gatti di avere ad esempio sottolineato dettagli strumentali nel primo Trio sui quali non abbastanza si era meditato, ma continuiamo a preferire un tipo di lettura che aiuti anche a comprendere le motivazioni fondamentali che stanno alla base del sinfonismo schumanniano, le deviazioni da uno stile classico che contengono anticipazioni proprie del sinfonismo lisztiano richiamato nella prima parte del programma, ad esempio. Orpheus non era forse l’esempio più indicativo tra i Poemi sinfonici, e la lettura della Faust-Ouvertüre di Wagner mancava a volte di nerbo.
Interessante sarebbe ad esempio stata la scelta di abbinare a questo lavoro la presentazione delle pochissimo note Sieben Kompositionen zu Goethes Faust del 1831, primo accostamento wagneriano al mito. Il cammino attraverso il repertorio tedesco è ancora suscettibile di ulteriore meditazione da parte del direttore milanese, e siamo sicuri che la nuova nomina possa essere vista anche come opportunità di approfondimento, così come l’incarico presso l’Orchestre National de France era stato fondamentale per l’appropriazione di una fetta considerevole del repertorio francese. (Teatro alla Scala, 20 Aprile 2015)
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