di Luca Chierici
UNO DEI MOTIVI DI VANTO del Festival della Valle d’Itria, è risaputo, è stato quello di recuperare alle scene opere che per vari motivi avevano conosciuto una discontinuità di successo (e spesso l’oblìo) una volta che le condizioni al contorno che ne avevano decretato la fama andavano scomparendo. Il recupero dei virtuosismi settecenteschi e poi del belcanto vero e proprio da parte di chi oggi poteva essere in grado di evocare l’indimostrabile bravura dei grandi nomi del passato, dai virtuosi castrati ai veri mattatori della stagione del primo ottocento, è oramai prassi consolidata – non lo era agli inizi dell’attività del Festival – e per quanto la mole di partiture manoscritte o addirittura autografe raccolte nelle biblioteche italiane continui ad essere sproporzionata rispetto all’entità delle loro rappresentazioni moderne, i lineamenti di una storia del melodramma resa viva dall’ascolto effettivo si stanno lentamente precisando attraverso scelte di repertorio sempre più attente.
Prosegui la lettura di questo articolo o guarda il contenuto multimediale iscrivendoti al Club dei lettori del Corriere Musicale con un abbonamento Rodolfo, Rodrigo o Conte d'Almaviva
© RIPRODUZIONE RISERVATA