Il direttore d’orchestra all’Accademia Nazionale romana con la Filarmonica della Scala. Beethoven, Dvořák e Khachaturian per un concerto che commemora il genocidio armeno
di Daniela Gangale foto © Musacchio&Ianniello
COM’È CONSUETUDINE DA ALCUNI ANNI A QUESTA PARTE, nel mese di settembre la romana Accademia di Santa Cecilia propone una rassegna che precede l’inizio della stagione ufficiale; torna dunque quest’anno il “Giro del Mondo in tre orchestre” che ha visto il primo appuntamento sabato scorso, con la Filarmonica della Scala diretta da Daniel Harding. Il concerto fa parte di un progetto più ampio, dal titolo With you Armenia, che intende ricordare il genocidio del popolo armeno nel suo centenario (1915-2015). Come ha sottolineato all’inizio del concerto Sargis Ghazaryan, ambasciatore armeno in Italia, questa manifestazione che ha preso il via lo scorso marzo con un concerto a Gerusalemme, «è di un’attualità allarmante» viste le tragiche notizie che dal Medioriente si susseguono ormai quotidianamente. Manifestazioni che promuovono la memoria di eventi tragici del passato vogliono essere però una celebrazione della vita e della resilienza dei popoli e un monito affinchè genocidi e violenze etniche, che sono crimini contro l’umanità, non si perpetuino.
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E di certo un inno alla vita è stato il programma del concerto ceciliano, pieno di capolavori sinfonici uniti dal filo rosso di sonorità ampie ed emotività coinvolgenti, che ha visto nella prima parte il Terzo Concerto per pianoforte e orchestra di Beethoven con solista Alessandro Taverna e nella seconda l’Ottava Sinfonia di Dvořák e il Waltz da Masquerade del compositore armeno Aram Khachaturian.
Per Beethoven, Harding ha scelto un fraseggiare ampio e ben scandito, caratterizzato da una dizione quasi enfatica dei temi principali, optando per tempi leggermente ampi; il direttore britannico tornato a Santa Cecilia dopo alcuni anni di assenza ha offerto al pubblico la sua lettura convincente di questa celeberrima composizione, dotata di una forte coerenza interna e caratterizzata dall’energia che la contraddistingue. Taverna ha puntato su un suono cristallino e potente, senza però indulgere in una visione troppo romantica, tenendo testa all’orchestra e conducendo la cadenza del primo tempo con piglio severo. La stessa severità che si è riscontrata nel secondo tempo, leggermente addolcita nei temi pensosi espressi con pacato raccoglimento, per poi abbandonarsi nel terzo movimento ad una maggiore vitalità, pur mantenendo l’input iniziale nella scelta di un tempo ampio. Nel bis, invece, richiesto a suon di scroscianti applausi, Taverna ha dato ampia prova del suo eccezionale virtuosismo, abbandonandosi nelle Variazioni e Fuga su un Tema di Telemann Op.134 di Max Reger, scelta davvero inconsueta.
La seconda parte del concerto ha visto un’elegante lettura della sinfonia di Dvořák, in cui Harding ha voluto mettere in evidenza il suono dell’orchestra, disegnandolo in grandi blocchi piuttosto che perdendosi in eccessive sfumature; una lettura più razionale che emotiva che ha sciolto un po’ le briglie nella leggerezza di danza del terzo movimento, l’Allegretto grazioso. Gran finale con il valzer di Khachaturian, in cui l’atmosfera ironica e a tratti surreale di questa composizione ha sedotto il pubblico con i suoi caleidoscopici cambi di atmosfera, chiudendo il concerto con un’iniezione di energia, omaggio alla vita che continua.
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