Vincitore della XXX edizione del concorso Casagrande di Terni il pianista cinese si è esibito all’Accademia Stefano Tempia
di Marco Testa
LO SCORSO 9 MARZO al Teatro Vittoria di Torino si è esibito, nell’ambito della stagione dell’Accademia Stefano Tempia, il giovane pianista cinese Zhi Chao Julian Jia, vincitore della trentesima edizione del concorso Casagrande di Terni (tra i giurati: Joaquín Achúcarro e Anna Kravtchenko), blasonata competizione che nella sua storia può vantare la partecipazione (e il trionfo) di pianisti del calibro di Boris Petrushanskij, Alexander Lonquich e Ivo Pogorelich, oggi riconosciute stelle del pianismo internazionale.
Estroso personaggio, inarrestabile flusso d’idee, dalle interpretazioni di Julian Jia (come preferisce farsi chiamare) trapela una notevole, a volte sconcertante, varietà, suggerendo all’ascoltatore che la chiave di lettura del pezzo proposta in quel momento non sia che una delle tante che potrebbe e soprattutto vorrebbe fornirci. Così è stato durante il concerto per l’Accademia Stefano Tempia di Torino, concerto in premio con la vittoria del Casagrande insieme a numerosi altri, tra cui uno con l’Orchestra Sinfonica della Rai.
È interessante notare che i genitori di Julian, oggi ventitreenne, decisero di traferirsi in Europa con l’unica ragione di far studiare pianoforte al figlio. Julian Jiae la sua famiglia si stabilirono in Germania nel 2003, dapprima a Düsseldorf, dove egli frequentò il Robert Schumann Music College, e in seguito ad Hannover, sede prestigiosa nella didattica del pianoforte, vincendo o comunque piazzandosi in ottime posizioni in diverse competizioni pianistiche sparse per la Germania. Il suo attuale docente, l’israeliano Arie Vardi, è stato insegnante di Yundi Li, vincitore della quattordicesima edizione del concorso Chopin di Varsavia.
Nella prima parte del concerto, il giovane pianista cinese ha eseguito due sonate di Scarlatti (K433 in re maggiore e K466 in fa minore), con un suono asciutto, senza troppo aggiungere in termini di enfasi, con una espressività piana, composta e ritmicamente ineccepibile, suggellata da un perfetto equilibrio tra le parti.
Hanno seguito i Drei Klavierstücke (secondo il nome che venne successivamente attribuito da Brahms) di Schubert (D946), composti nel maggio 1828, pochi mesi prima della morte del compositore, e una serie di brani di Chopin, dove Julian Jia ha potuto mettere in luce tutte le sue doti di virtuoso, la già consumata perizia tecnica, ma anche una grande sensibilità intimistica: è il caso ad esempio del Largo della Sonata in si minore op.58. Ma l’apice del lirismo il giovane pianista l’ha forse raggiunto nel primo due due bis che ha voluto concedere all’entusiasta pubblico del Vittoria, la Gnosienne n.1 di Satie, nella quale è stato capace di mettere a disposizione dell’ascoltatore una tavolozza timbrica quantomai ampia e coerente, di ambientazione struggente.
In sostanza, l’idea che si ricava dall’ascoltare questo giovane artista è che, oltre a una tecnica prodigiosa, Julian Jia sia pure dotato di una spiccata fantasia sorretta da una scienza interpretativa non comune (foss’anche a volte cedendo a eccessiva impulsività), e con essa da un suono quasi sempre convincente e bello, sempre stimolante.