Al Teatro Olimpico, con la regìa ardita e interessante di Lorenzo Regazzo, il titolo mozartiano porta a termine il progetto sulla triologia. Giovanni Battista Rigon alla testa dell’Orchestra di Padova e del Veneto
di Elena Filini
LEI È UNA CONTEMPLATIVA. LUI UN FREDDO. E all’origine di quello che subito è disposto a rivelarsi un gioco crudele, sta la noia. La noia di una bella casa, la noia di una vita spesa a non credere più nel genere umano. Nell’epoca 2.0 il tradimento diventa scambio di coppia: tutto avviene nell’evidenza, tutto nella consapevolezza, tutto registrato, documentato, istantaneo. E quindi il già evidente cinismo della favola di Mozart-Da Ponte acquista una temperatura ancor più fredda. Don Alfonso è sì un Don Giovanni a riposo, ma insieme un voyer. E forse lo è pure lei, la dama bianca che non canta, non parla, ma osserva. Devono dimostrare un teorema, che da almeno un paio di secolo tiene avvinti gli spettatori alla poltrona: l’infedeltà è consustanziale al genere umano. Cercare una doppia coppia di potenziali traditori non è certo un problema culturale: giacché non solo giovani, vecchie, belle e brutte, ma anche cattoliche, induiste e musulmane “Così fan tutte”.
Venerdì al Teatro Olimpico di Vicenza debuttava – per la XXIII edizione delle Settimane Musicali al Teatro Olimpico – il terzo numero della trilogia mozartiana secondo la regia del basso veneziano Lorenzo Regazzo. L’operazione chiude un’importante progetto culturale realizzato dal festival guidato da Giovan Battista Rigon e Sonig Tchakerian: la messa in scena della trilogia mozartiana.
La regia di Lorenzo Regazzo parte dall’essenza più crudele del gioco: l’umiliazione che reca divertimento. Ferrando e Guglielmo sono due parà vanagloriosi e narcisi che, in kilt scozzese saranno totalmente teleguidati dal filosofo. La chiave di lettura di questa regia sta nel rivelare come Dorabella e Fiordiligi tradiscano con totale consapevolezza sull’identità del nuovo partner. Ipotesi molto interessante, che però diventa impegnativa da sostenere nell’esteso finale. Niente agnizione, niente travestimenti dunque, solo l’amarezza di un gioco triste e per nulla eccitante. Una luce a parte è accesa da Despina cui la regìa ma soprattutto la straordinaria interpretazione vocale e scenica di Giovanna Donadini danno un sapore un po’ crepuscolare: una donna non più giovane, che fa la cinica ma si nutre di fotoromanzi e ricordi. Una sentimentale, in fondo. La drastica sforbiciata ai recitativi apre lo spazio per stacchi in scena a volte eccessivi e per la declamazione, decisamente opportuna, di uno dei più bei sonetti di Lorenzo Da Ponte sull’amore. Se l’impostazione registica è ardita e interessante benchè non esente da qualche insidia nel finale, anche il cotè vocale è decisamente ricco di spunti positivi. Ad iniziare proprio da Lorenzo Regazzo, apparso in notevole forma vocale nel ruolo di un Don Alfonso dalla vena gassmaniana. Ben assortite le coppie di amanti: convince Arianna Vendittelli come Fiordiligi: forse i gravi sono un po’ vuoti ma a compensarli è un’ottima consapevolezza tecnica ed espressiva. Di grandissimo interesse vocale la Dorabella di Raffaella Lupinacci a tratti appannata, purtroppo, da qualche incertezza musicale. Daniele Zanfardino ha ottimo gusto e sicura emissione: forse il suo Ferrando è un po’ leggero ma di grande professionalità. Marco Bussi è un comico nel senso migliore della definizione: gli acuti sono il suo punto di forza ma insieme, una dizione mai generica e uno squisito senso teatrale. Tutto in buca fila liscio (a parte qualche problema di equilibrio nei volumi) sotto la partecipe guida di Giovanni Battista Rigon alla testa dell’Orchestra di Padova e del Veneto.
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