Al Teatro Regio di Torino un ciclo interamente dedicato al compositore tedesco. Solisti Simon Trpceski, Marc-André Hamelin, Julian Rachlin, Ilya Gringolts, Enrico Dindo
di Attilio Piovano
UN’IMPRESA CHE HA DEL TITANICO per direttore e compagine orchestrale: affrontare le Quattro Sinfonie di Brahms a distanza ravvicinata in altrettante serate che – per di più – sono andate ad intersecarsi alle repliche del verdiano Otello. È accaduto al Regio di Torino nel mese di ottobre. Non basta: di una vera e propria full immersion brahmsiana si è trattato, gran sacerdote Gianandrea Noseda che ha convocato per l’occasione un pool di scelti solisti, di volta in volta appaiando alle quattro superbe partiture orchestrali del musicista amburghese ora il Primo, ora il Secondo Concerto pianistico, poi il sublime Concerto per violino e infine il cosiddetto Doppio concerto per violino e violoncello.
A Noseda piacciono le sfide. Al Regio, poi, già aveva affrontato analoghe imprese dirigendo per intero il ciclo delle Nove Sinfonie beethoveniane. Ora è toccato a Brahms. Quattro serate di indiscusso successo (il 16, 17, 23 e 25 ottobre) e un’orchestra in gran spolvero che ha saputo mantenere alto il livello interpretativo, nonché un’ammirevole e apprezzata continuità. Noseda ha compiuto un gran bel lavoro di concertazione: e lo si è compreso fin dall’attacco della Prima Sinfonia, un esordio virile, icastico, poi perfettamente a fuoco i mille dettagli della partitura (molto lavoro di cesello ad esempi nelle misure conclusive dell’Allegro) e nel contempo una visione d’insieme a tutto tondo. Quanta tenerezza nel dolce Andante (dai tratti già quasi pre mahleriani) accarezzato con affettuosa tenerezza, poi la soave leggerezza del terzo tempo e quel senso di lievitazione ritmica e dinamica che si sprigiona a poco a poco. Da ultimo il maestoso Finale con il corale degli ottoni che precede il fluire del celebre tema dei violoncelli e infine svetta a tutta orchestra coronando l’intero edificio. Un’interpretazione di alto livello ammirata anche per la insolita saldezza ritmica e una davvero felice risposta dell’orchestra in tutte le sue ottime sezioni.
Della Seconda Noseda ha ben colto l’esprit interpretandola, come occorre, con con levigata serenità. Grandi emozioni nel secondo e terzo tempo traboccanti di delizie melodiche e tenerezza Biedermeier. Quindi trascinante magnetismo e un’enorme carica energetica nello scatenato Finale dove Noseda ha spinto l’orchestra (che lo ha sempre assecondato con sicurezza) verso le zone rosse del contagiri, senza mai sbavature, giù giù sino all’epilogo festoso e luminescente. Della Terza è piaciuto il piglio deciso dell’esordio, altisonante, ma privo di inutili magniloquenze; che meraviglia, poi, il carattere naïf del delicato Andante e, subito dopo, la sublime struggente melanconia del Poco Allegretto una delle pagine più stupefacenti di Brahms, raramente ascoltata con tale intensità e pregnanza, tutta la Sehnsucht di un’intera epoca storica. Memorabile anche la Quarta: indimenticabile il colore del primo tempo, con quel tema iniziale di epocale intensità, gli accenti arcaicizzanti dell’Andante dalla celebre cadenza frigia, lo scatenarsi argentino dell’Allegro giocoso, dove l’orchestra fa il pieno di energia con lo svettare del triangolo e infine la monumentale Passacaglia che Noseda ha dissipato con chiarezza: evitando il rischio della retorica monumentale. Insomma una lettura coerente e affascinante, meditata, ponderata e – merita rilevarlo – una gran bella prova dell’Orchestra del Regio che, certo, non raggiunge i vertici di compagini quali Berliner o Gewandhaus, innegabile, ciò nonostante ha saputo affrontare l’intero ciclo con coscienziosa professionalità regalando non poche emozioni, e mostrandosi poi anche perfettamente all’altezza di ‘seguire’ solisti di levatura sul versante dei Concerti.
E allora il fuoriclasse macedone Simon Trpceski che nel Concerto op. 15 ha ottenuto un vero trionfo personale; pianista elegante e raffinato, sfodera sonorità poderose tenendo testa all’orchestra dove occorre (i due movimenti estremi, il primo, molto ‘sinfonico’, l’ultimo impregnato di ritmo, eseguito con singolare souplesse nei passi in stile di danza e nobile austerità nel fugato), ma sa anche conseguire pianissimi delicati e rarefatti. Lo ha confermato nei due bis, lo chopiniano Valzer in la minore (opera postuma) e una seconda, delicata pagina.
Appena un poco meno magnetica, ma pur sempre di rango, l’interpretazione del Secondo Concerto a cura di Marc-André Hamelin che ha poi regalato un delizioso Debussy come bis (Reflets dans l’eau, dalle Images). Apprezzato il virtuosismo del giovane Julian Rachlin che del violinistico Concerto op. 77 ha dato un’interpretazione esuberante, pur tradito qua e là dalla sua stessa esuberanza, talora parso un po’ sopra le righe con qualche intemperanza di troppo. Ma possiede bel suono, espressivo e caldo, benché in presenza di qualche asprezza e certe monocromie nel tempo lento, qualche défaillance di intonazione nel Finale affrontato a pieno regime. Bis di alto virtuosismo con una delle più note pagine per violino solo del belga Ysaÿe. E siamo al Doppio Concerto che Ilya Gringolts ed Enrico Dindo hanno affrontato da par loro facendo l’impossibile per attenuarne la natura, per così dire, ibrida. Ammirati entrambi, perfetta fusione con l’orchestra e assai gradito l’abbinamento con l’austera Quarta. In chiusura del vasto ciclo del quale conserveremo a lungo – e così il folto pubblico – gradita e vivace memoria. Al Regio il merito di averlo promosso.