Presentata a Firenze la nuova registrazione del pianista italiano dedicata a Beethoven, Schubert, Schumann
di Michele Manzotti
UN VIAGGIO nell’ottocento musicale pianistico sulle ali della fantasia. Intesa ovviamente come forma. Ludwig Van Beethoven, Franz Schubert e Robert Schumann (con l’op.27.2, la Wanderer D 760 e l’op.17) sono i compositori protagonisti del disco Fantasia, inciso da Giuseppe Albanese e stampato dalla Deutsche Grammophon. È lo stesso Albanese a spiegare la nascita del progetto durante la presentazione dell’album a Firenze.
Come è avvenuta la scelta dei tre brani?
«Sono due Fantasie e una Sonata quasi una fantasia, come nel caso di Beethoven. È un duplice omaggio: alla creatività di questi tre autori che andavano oltre gli schemi di ciò che allora era conosciuto e alla fantasia come genere strettamente musicale che va a sua volta oltre la sonata classica. In più molte volte mi hanno trovato un pianista “fantasioso” e quindi il concept si è imposto praticamente da solo».
Come è avvenuto il suo avvicinamento alla Deutsche Grammophon?
«È stato un direttore d’orchestra a darmi lo spunto, trovandomi un pianista da “etichetta gialla” e dandomi l’indicazione per un contatto. Avevo provato con altre case discografiche, senza successo. Invece in questo caso la mia proposta è stata accettata».
La fase della realizzazione?
«La Deutsche Grammophon non è solo un logo prestigioso. È stato importante avere un produttore che valorizzasse al meglio il mio lavoro come Christopher Alder. Anzi, è stato durante le sedute di incisione che ho avuto la possibilità di rivedere qualcosa della Fantasia op. 17 di Schumann grazie a un’edizione critica più recente che aveva Alder».
Quali elementi nuovi ha portato?
«Il primo movimento è stato inciso seguendo le istruzioni contenute nell’autografo: esse sembrano esplicitare tutto ciò che è implicito in questa scrittura. Il forte slancio espressivo, la totale libertà agogica prescritta originariamente (ma poi mitigata nella dicitura definitiva) e alcune indicazioni di tempo che hanno legittimato le sensazioni immediate che questa musica mi ha sempre suscitato ma che vengono “imbrigliate” nella versione ufficiale».
Di Beethoven ha scelto una composizione notissima. Cosa c’è ancora da sviscerare in questa pagina?
«Intanto evitare ogni riferimento a usi impropri della definizione Chiaro di Luna (che non era di Beethoven), ma guardando alla sua unità drammaturgica e ai suoi echi tematici e armonici».
Per quanto riguarda Schubert, ha scelto un brano molto difficile tecnicamente…
«La Wanderer è infatti un pezzo su commissione e in questo caso sembra che il compositore si sia divertito a mettere alla prova il pianista. Ma oltre a questo è importante sottolineare come la fantasia sia costruita attorno a un’unica cellula tematica e quanto feconda si sia rivelata per la letteratura posteriore».
Quando ha avuto il disco in mano con quel logo cosa ha pensato?
«È il sogno di ogni musicista classico. Sono per deformazione professionale sempre proteso verso il futuro vedendo ogni esperienza come un punto di partenza, ma per almeno un paio di minuti, in questo caso, mi sono concesso l’eccezione di far pendere la bilancia dal lato del punto d’arrivo».
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