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Gli ottantacinque anni di Piero Buscaroli

di Marco Testa
20 Agosto 2015
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Un breve ritratto del musicologo e giornalista italiano, autore di monumentali biografie di Bach e Beethoven


di Marco Testa

IL PROSSIMO VENTUNO AGOSTO festeggerà gli ottantacinque anni un personaggio assolutamente anomalo nel panorama culturale italiano, additato da taluni come uno degli intellettuali più controversi d’Italia, nientemeno: Piero Buscaroli è sì un musicologo e storico della musica (e tra i più agguerriti), ma è anche giornalista e persino scrittore di cose d’arte di saldissima competenza e dottrina. Celebrato (o deplorato) principalmente per le sue opere su Bach, Beethoven e Mozart, ciononostante è presente in lui un sentimento ostile nei confronti di quella tendenza, così novecentesca, per la settorializzazione del sapere: sin dalla giovinezza egli aveva capito che non può darsi specializzazione alcuna senza che questa sia sorretta da profondità; che la settorializzazione privata di un contesto più generale rischiava di configurarsi come approdo sicuro per chi non fosse provvisto di una preparazione adeguata – cosa che sempre più è; sicché entrare nel mondo di Johann Sebastian Bach significa per Buscaroli – e quindi per il suo lettore – addentrarsi nella sua vita e nella sua opera ma finanche nella società nel suo insieme, nella sua economia, nella temperie culturale ora di Eisenach, ora di Arnstadt, di Weimar, Cothen e via dicendo; significa esplorare il significato della Riforma luterana, che Buscaroli stigmatizza come reazionaria, in rapporto alla figura e alla poetica dello stesso autore della Messa in si minore; si traduce, ancora, nel tentativo di penetrare le condizioni sociali e psicologiche di un musicista di corte nella Germania del primo Settecento. Il tutto sempre corredato da dotti e stimolanti rimandi alla storia, all’estetica, alla letteratura, all’arte in genere.

Piero Buscaroli è nato a Imola il 21 agosto del 1930. Figlio di un’insegnante d’inglese e di un illustre latinista, da quest’ultimo ereditò, insieme alla passione per il mondo classico, il culto per la giustizia (Corso Buscaroli fu condannato da una corte di partigiani per concorso morale in omicidio, per poi essere assolto postumo, a undici anni dalla morte). Terminati gli studi classici s’iscrisse quindi in legge all’Università di Bologna, dove discuterà una tesi in storia del diritto italiano con Giovanni de Vergottini. Nel frattempo non trascurava gli studi musicali: Ireneo Fuser, organista trevigiano che reggeva la cattedra al Conservatorio di Bologna, vi fiutò un qualche talento per l’organo, l’armonia e il contrappunto. Tale esperienza gli fu decisiva, e contrassegnò in qualche modo quasi tutte le esperienze successive, tant’è che quando Leo Longanesi lo invitò a scrivere sul Borghese, il giovane di Imola scelse di firmarsi con lo pseudonimo di Hans Sachs in onore del cinquecentesco Meistersinger di Norimberga, che Wagner eternerà nell’opera Die Meistersinger von Nürnberg (I Maestri cantori di Norimberga). Di lavorare con Longanesi e di far parte del suo entourage, Buscaroli dovette sentirsi parecchio lusingato, se consideriamo che l’intellettuale di Bagnacavallo è uno dei pochi personaggi di cui egli parla con stima. Perché “Piero il Terribile” parla male di tutti, a sinistra e a destra (compresi Dino Grandi, fraterno amico del padre, e suo cugino Massimo Cacciari, «un signorino con la puzza sotto il naso») risparmiando soltanto, oltre al testé citato Longanesi, uomini come Ezra Pound, Lorenzo Giusso, Prezzolini, Michele Campanella, Bach, Brahms, Furtwängler e pochi altri.

Negli anni Sessanta, tra una recensione e l’altra lo ritroviamo inviato speciale al fronte palestinese, dove rimane per tre anni, quindi in Vietnam per altri sei. Nel 1968 è a Praga durante la Primavera animata dal segretario del Partito Comunista Cecoslovacco Alexander Dubček, poi stroncata dai carri armati sovietici. Dopo queste esperienze di giornalismo bellico, nel decennio successivo approda al Giornale di Indro Montanelli, nonostante non provi particolare stima né simpatia per il giornalista di Fucecchio, fors’anche in quanto questi gl’impone uno pseudonimo – Piero Santerno – da utilizzare negli scritti “politici”, e pazienza se finirà per occuparsi di critica musicale in una rubrica, la Stanza della musica, destinata a una certa fortuna. Il fronte di guerra e il giornalismo bellico appartengono quindi al passato, e Buscaroli può spendersi maggiormente a elaborare commenti di arte e storia, a recensire concerti e, ora docente di storia della musica presso diversi conservatori (Torino, Venezia, Bologna), a progettare nuove fatiche musicologiche e storiografiche. È proprio in questi anni che inizia a programmare una serie di ricerche su Johann Sebastian Bach che lo porteranno a pubblicare prima il saggio La nuova immagine di Bach, poi, tre anni appresso, la monumentale biografia intitolata semplicemente Bach, titolo dal sapore definitivo, che rischia di conferire responsabilità particolari all’autore (oltre a una certa aspettativa), il quale purtuttavia dal canto suo sa bene che la parola “fine” non può, ne forse potrà mai, essere pronunciata al riguardo. Ben tredici anni di lavoro gli occorsero per portare a termine l’opera in questione, frutto di una continua e indefessa analisi sulle fonti originali in tedesco, di infaticabile, costante perizia, tanto da farne parlare a Ettore Paratore, indimenticato latinista teatino, come di un «punto fermo della bibliografia bachiana per l’instancabile, minuziosissima determinazione di ogni particolare biografico, modello stupefacente di diligenza, poderosa filologia…».

bach buscaroliMa il Bach di Buscaroli non a tutti piacque. Quando Massimo Mila in persona si prese la briga di recensirlo, nell’articolo apparso su La Stampa il 19 ottobre del 1985 non risparmiò critiche, anche severe: ma per quante imprecisioni potrà avervi ravvisato, quella caparbia accusa contro le troppe supposizioni («quasi mai un verbo si presenta nudo e crudo al passato remoto», scrisse Mila) mancano (certo non sempre) il bersaglio, perché non di rado Mila scambiò la cautela di Buscaroli per eccesso di fantasia e forse per grossolanità, che era la stessa accusa, a ben vedere, che Buscaroli medesimo aveva mosso a sua volta ai passati biografi di Bach, da Forkel a Basso. Ma con una differenza: i Forkel e gli Spitta farneticavano con il passato remoto, azione certa; Buscaroli, quando farnetica, lo fa quasi sempre con il periodo ipotetico.

Mila non amava Buscaroli. Lo accusava di «fascismo intellettuale» e non si lasciava sfuggire occasione per rimbeccarlo. Non era (e non è) dello stesso avviso Paolo Isotta, che già allora stimava l’Imolese mostrando acceso entusiamo per il suo Bach, che definì «opera importantissima». Né d’altra parte possiamo ignorare che Christoph Wolff, tra i maggiori specialisti della vita e l’opera bachiana, ignorò completamente il libro.

Dipinto come un reazionario, pochi anni or sono, durante un’intervista al Giornale, dichiarò di sentirsi «un superstite della repubblica sociale in territorio nemico»; ma nel campo della storiografia musicale è stato un autentico rivoluzionario. Tra tutti i biografi di Johann Sebastian Bach, Buscaroli, benché grandissimo estimatore dello stesso autore della Musicalisches Opfer, è il meno consolatorio: egli si oppone con asprezza alla vulgata del Bach tutto chiesa, perpetuamente folgorato dal richiamo della Trinità; irride coloro che sembrano intravedere Dio e simbolismo religioso in ogni battuta (esemplare in tal senso è l’analisi che compie della Kunst der fuge); si fa beffe di coloro che seguitano a descriverlo come «il quinto evangelista». Per tutta la sua vita adulta Buscaroli si è opposto alla visione di Bach plasmata secondo quanto ne scrissero nel 1802 Johann Nikolaus Forkel, suo primo biografo, e Philipp Spitta più tardi (1873); non è dunque un caso se, tre anni prima del suo «pamplet di 1200 pagine», per dirla con Massimo Mila, pubblica La nuova immagine di Bach.

beethovenbuscaroliNondimeno il libro su Beethoven, ancora più ponderoso, dovette passare attraverso la lente di entusiasti esaltatori e detrattori. Uno studioso trevigiano scomparso nel 2010, Giorgio Taboga, ne parlò come di un «romanzo storico», tacciando l’autore di supponenza e persino di ignoranza. Fabrizio della Seta ritenne invece che «con questa biografia l’autore intende collocarsi nella corrente del revisionismo storiografico, estendendola dal campo politico a quello musicale»; in realtà Buscaroli non «intende» affatto inserirsi in una qualche corrente del revisionismo storiografico, non foss’altro in quanto categoria esistente solo nelle fantasie e nelle nevrosi di una cultura storica e politica che origina all’epoca in cui Renzo de Felice scriveva i suoi primi volumi su Mussolini e sul fascismo (tale tema, complesso e ben noto in storiografia, costringerebbe però a una deviazione ben lontana dallo spirito e dalle finalità di questo scritto).
Uomo dal carattere difficile a detta di alcuni, squisito per altri, inviso a molti perché destrorso, inflessibile su certi temi, non raramente si concede ammissioni che riguardano il proprio vissuto: «Io sono le mie radici, l’aria che respiravo in famiglia», confidò a un giornalista de La Stampa in una intervista apparsa il 6 febbraio 2010. Il che ci riporta in qualche modo a una frase che Montanelli attribuì ad Ardengo Soffici: «Ogni artista, in fondo, non ha che un paesaggio: il suo, quello dove è nato e a cui finisce piano piano per somigliare».

Tags: Piero Buscaroli
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Marco Testa

Marco Testa

Cresciuto nell'isola di Sant’Antioco, ha compiuto studi storici e archivistici parallelamente a quelli musicali. Già collaboratore della cattedra di Bibliografia musicale del Conservatorio di Torino e docente dell'Accademia Corale "Stefano Tempia" (guida all'ascolto/storia della musica), attualmente è docente di storia della musica presso IMUSE Torino e collabora con festival e istituti di ricerca. Autore di saggi e articoli pubblicati in riviste specializzate, lavora principalmente per l'Archivio di Stato di Torino e scrive su "Musica - rivista di cultura musicale e discografica" e su "Il Corriere Musicale".

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