Dalle Mozartkugeln alla Pasta alla Norma. Un breve percorso nei piaceri della tavola legati o ispirati alla musica, dall’antichità al post-moderno
di Claudio Grasso
“Lo stomaco è il maestro di musica che infrena e sprona la grande orchestra delle grandi passioni; lo stomaco vuoto suona il fagotto del livore e il flauto dell’invidia; lo stomaco pieno batte il sistro del piacere e il tamburo della gioia”. A unire in questa riuscita metafora musica e cibo è Gioachino Rossini. Nella sua “seconda vita” parigina, il pesarese si dedicò molto alla gastronomia, e alla mondanità, diventando il “principe dei gastronomi” ed elaborando svariati piatti tra cui i famosi Tournedos alla Rossini.
La felice unione tra musica e cibo è in realtà ben più antica. Metà Odissea è cantata ad un pranzo, la petroniana Cena di Trimalcione è interamente a ritmo di musica, perfino la liturgia missale è esaltazione cantata di un pasto rituale. L’apogeo dei conviti musicali si raggiunge nelle fastose feste di corte italiane, tra ‘400 e ‘600. Nel 1454 Filippo III di Borgogna fece il famoso “giuramento del fagiano” in un banchetto a Lilla, dove ascoltò musiche di Binchois e Dufay. Nel 1529 Ercole, il Dux Ferrariae, allestisce una cena luculliana con musiche di Alfonso della Viola, a margine di una rappresentazione de “La Cassaria” di Ariosto. E sono i cantanti ad avere la scena del banchetto di nozze del Granduca di Toscana, Cosimo II, con Maria Maddalena, Arciduchessa d’Austria: Vittoria Archilei, Francesca e Settimia Caccini, Melchiorre Palantrotti, il meglio che nel 1608 si potesse chiedere alla scena canora.
Una scena che, infatti, si sposterà sempre più nei teatri. È all’opera che la musica prenderà il primo posto: parlerà di cioccolata in Così fan tutte, di giuncata e marzemino nel Don Giovanni, di jerez e fagiani nel “Falstaff”. Piuttosto che accompagnare le vivande, ne verrà accompagnata, in uno scambio di ruoli dove la tavola sarà definitivamente serva della musica.
Ai cantanti verranno, col tempo, dedicati piatti, come il “Chicken Tetrazzini“, la “Poularde Adelina Patti“, le pesche Melba; della loro voracità saranno piene le cronache, nelle indiscrezioni su Pavarotti, o nella famosa leggenda che lega la Callas alla tenia. È abbastanza recente, poi, la creazione de “La Diva Renée“, golosissimo dessert in onore di Renée Fleming. Per i compositori la faccenda è più conflittuale: Beethoven si stufava facilmente dello stufato, Wagner, poi, era un fervente vegetariano, e pare che Händel sia morto niente meno che di gola!
Ecco, piuttosto, il nostro armonioso menu: agli antipasti, un lungo elenco di uova, alla Auber, alla Berlioz, alla Bizet; primo piatto, una squisita Pasta alla Norma; come secondo, i “Minions à la Meyerbeer“, dedica non proprio lusinghiera di un piatto povero; concludiamo trionfalmente con il souvenir gastro-musicale per eccellenza, le Mozartkugeln. E nel bicchiere? Un interessante problema “filologico”: i cocktail Puccini e Rossini sono variazioni del Bellini; ma il Bellini del famoso cocktail, creato da Giuseppe Cipriani, è Giovanni Bellini, il pittore, compagno nella serie dei “rossi” del Carpaccio e del Tiziano, non certo il catanese Vincenzo.
L’amore reciproco tra cuochi e musici sembra quasi scaturire da una omogeneità tra musica e cucina. È possibile ascoltare il cibo? O mangiare le note? Voi lo avete fatto, vi siete mai lasciati ingolosire suonando? O avete composto ai fornelli? Ispirazione, genio, talento, dedizione, sono probabilmente tratti comuni alle due sfere. Ma il dubbio sulle ragioni di questi connubi rimane. La nostra idea di arte è legata alla privazione, all’ascetismo, al trascendere la materia per giungere allo spirito. Forse è meglio dire, l’idea di arte affermatasi nell’Ottocento germanico. Ed è forse questa la ragione per cui, nonostante Bayreuth, la musica del grande repertorio ci parla più spesso di vino che di salsicce. Eccezione immancabile, le quattro ricette per voce e piano di Leonard Bernstein, il segno di come il post-moderno provi a saldare la rottura romantica tra orecchio e stomaco.
Oggi nessuno negherebbe tratti poetici ad una creazione di alta cucina. Ancora di più, sociologie e semiotiche leggono da tempo gli atti alimentari come identitari, significativi, frutto di creatività, di desiderio e non di bisogno. Alimentarsi è cultura, senza dubbio. Il sistema del cibo è simile al sistema delle arti, i bisogni di un musicista sono i bisogni di uno chef. Lasciamo la chiusa finale, allora, ad una grande artista, la chef Babette de “Il pranzo di Babette“: “Per tutto il mondo risuona un lungo grido che esce dal cuore dell’artista: consentitemi di dare tutto il meglio di me”.
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