Breve incontro con la violinista tedesca, a Firenze negli scorsi giorni con l’Orchestra della Toscana
di Michele Manzotti
LA SUA CARRIERA è iniziata a 15 anni con la vittoria alla Leopold Mozart Competition. Poi si è aggiudicata il primo premio al Concorso Paganini nel 1993. Oggi è una delle soliste più note della scuola violinistica tedesca. Abbiamo incontrato Isabelle Faust in occasione delle sue tre date con l’Orchestra della Toscana, istituzione per la quale debuttava. Sotto la bacchetta del direttore principale Daniel Kawka Isabelle Faust ha eseguito il Concerto per violino e orchestra di Béla Bartók op.112 in un programma completato da brani di Edward Elgar, Jan Sibelius e Gian Francesco Malipiero.
Il concerto di Bartók non è eseguito così spesso come quelli di altri autori. A suo parere quali sono i motivi di interesse per l’ascoltatore?
«Innanzitutto tanta energia e un forte carattere. Questa composizione fa parte della terza fase della produzione di Bartók, in cui l’autore ha deciso di utilizzare le forme e i linguaggi nei suoi periodi precedenti facendone una sintesi, a partire dalla musica folkloristica. Inoltre, grazie anche al violinista Zoltan Szekély a cui era destinato il brano, ha ripreso la forma classica del concerto con caratteristiche virtuosistiche tipica degli autori ottocenteschi. In pratica Bartók si rivolge al passato per guardare al futuro».
Ci sono alcune caratteristiche da sottolineare?
«Szekéy aveva chiesto a Bartók di comporre un tema con variazioni. Lui non era si tirato indietro e in un movimento ha scritto tutte le combinazioni possibili e immaginabili, con il terzo tempo che a sua volta è una variazione del parte del materiale del primo. È una composizione che racconta una storia».
Nel suo repertorio ci sono molti autori contemporanei. È un modo per comprendere fino a che punto può arrivare tecnicamente con il violino?
«Non necessariamente e le faccio un esempio. Il concerto di Morton Feldman, che eseguo di solito, parte da una piccola cellula tematica che nel giro di un’ora cambia quasi impercettibilmente. Qui non c’è una ricerca sui limiti dello strumento, piuttosto un caleidoscopio di suoni».
A proposito dell’Italia, quanto riesce a svolgere la sua attività nel nostro paese?
«Mi ritengo molto fortunata perché nonostante i tagli ai budget musicali suono abitualmente in molte realtà italiane come Torino, Roma e Bologna. Specialmente in quest’ultima città sono venuta spesso negli ultimi anni per lavorare insieme a Claudio Abbado».
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