di Attilio Piovano foto © Pasquale Juzzolino
Doppio ‘ruolo’, a Torino, per Leonidas Kavakos, violinista e direttore, per il cartellone di Lingotto Musica, la sera di venerdì 5 aprile 2019 in perfetta simbiosi con la Chamber Orchestra of Europe: orchestra di gran classe dal bel suono e dall’ottima coesione. Tutto orientato sull’abbinamento di Mozart e Beethoven il programma. E dunque in apertura ecco innanzitutto il Concerto K 216 dagli amabili profili. Dell’Allegro iniziale Kavakos coglie assai bene l’esprit umoristico e arguto, imprimendo una notevole scioltezza alla pagina, sia in veste di solista dalla tecnica solida e dal suono cristallino, sia guidando l’orchestra con mano sicura: mantenendo quel tono di levità che contrassegna il brano e che non viene certo offuscato da un più severo, inatteso episodio, nel bel mezzo dell’Allegro stesso. Bene poi il carattere ‘galante’ impresso al garbato Adagio con gli archi ‘velati’ dalla sordina e il pizzicato dei bassi. Quindi via di slancio e molta scorrevolezza nel Finale. Assai apprezzata la capacità di Kavakos nel dare corpo e spessore anche a singoli dettagli, come pure nell’evidenziare quelle striature melanconiche che emergono in un episodio in minore già (moderatamente) proteso verso climi pre-romantici. Una lezione di stile.
Poi ancora Mozart, e si è trattato della Sinfonia K 297 (300a) detta ‘parigina’ che Kavakos, potendo contare sulla Chamber in gran spolvero, ha diretto con trascinante entusiasmo, fin dall’attacco, mai apparso così aitante e ‘vettoriale’: e allora ecco subito sprigionarsi il colore giusto, altisonante, solenne e icastico al tempo stesso. Apprezzata l’orchestra in tutte le sue sezioni e per le sue valide prime parti (qualche disomogeneità appena avvertibile nei corni). Poi ecco il tono bonario, ovvero la bonomia à la manière de Haydn del successivo Andantino e da ultimo l’energetico Allegro conclusivo che Kavakos ha diretto senza risparmiarsi, infondendo una singolare brillantezza entro la compagine orchestrale dal folto organico. Apprezzate anche certe significative contrapposizioni dinamiche, peraltro sempre stilisticamente appropriate, verrebbe da dire ‘coerenti’ e finalizzate a porre in luce al meglio i caratteri già maturi di questa pur giovanilissima Sinfonia, presaga delle joie de vivre delle successive Nozze. E gli applausi, meritatamente, non sono mancati.
Perplessità ha invece destato, quanto meno in chi scrive, nella seconda parte della serata, un’Eroica francamente sopra le righe. Con un primo tempo contrassegnato da eccessi fonici vistosi ed anche un poco capziosi, come a voler ricercare l’effetto a tutti o costi. È pur vero che con le Sinfonie di Beethoven non si scherza e, soprattutto, ognuno ha talmente tanti e tali exempla sicché inevitabilmente viene da paragonare ogni nuova esecuzione con un ‘modello, tanto ideale quanto invero astratto. Ciò detto, la celeberrima Marcia funebre ha regalato sì qualche innegabile emozione, per il colore giusto, ovvero quella sua ‘opacità’ timbrica che ne costituisce uno dei motivi di maggior fascino; bene poi anche il fugato, anche se nel complesso è scivolata via un poco anodina. Sfolgorante (forse anche troppo) e non sempre del tutto in asse, l’immortale Scherzo. Quindi il Finale: l’averlo attaccato ad una velocità incredibile (quasi un Presto, ma in partitura è indicato solamente Allegro) ha in fondo vanificato un poco l’effetto del vero e proprio Presto conclusivo. Un po’ troppo ‘rumoroso’ il notissimo passo ‘turco’ e – ancora – svariati eccessi dinamici che hanno un poco destabilizzato. Ma in chiusura gli applausi sono ugualmente fioccati. E in questi casi non si sa mai bene se il pubblico applauda al capolavoro assoluto (l’Eroica è pur sempre tale) al direttore o all’orchestra. Forse ad tutti e tre, come è giusto. Per parte nostra – sia concesso ribadirlo – della serata conserveremo un gradito e incisivo ricordo sul côté mozartiano, seguito da una non memorabile Terza beethoveniana.