La città di Macerata, nell’ambito del rilevante Festival, è divenuta la cornice naturale per il terzo atto del Trovatore. Stasera in programma “Sogni di una notte di mezza estate” con Lella Costa
di Elena Filini
LO vedi camminare con due grosse tavole di compensato, appese davanti e a terga. Istintivamente, ti vien da chiederti chi sia. Poi leggi il messaggio. Due parole anzi tre. Diritto o bisogno di cultura, il ricordo si confonde. Ma non l’impressione, quella è nitida. Mi sono imbattuta nell’uomo sandwich dell’arte, libero testimonial cui nessuno ha chiesto di vendere il proprio prodotto, ma che fa ciò che ritiene giusto, portandosi addosso le sue idee nel caldo agostano a 44 gradi e passa. Qui Macerata, dove l’opera cessa di essere un fatto puramente teatrale. Traversale, interno al tessuto urbano, on e off insieme, il Macerata Opera Festival 2013 sembra lì a gridare, almeno come il suo inconsapevole street promoter, quanto l’opera sia un sapere contemporaneo, quanto il teatro sia un bisogno almeno perché, tra stupore e riflessione, unica è oggi la sua capacità di influire sul software delle persone. Il messaggio di una grafica volutamente antiretorica trova conferma nell’attività declinata in conferenze, approfondimenti, eventi, dialoghi, musica per le strade, di cui l’emozione notturna dell’opera nell’arena romana è solo il tassello finale. Questo è “Muri e Divisioni”, il contenitore diffuso immaginato da Francesco Micheli per il Macerata Opera Festival 2013 e non a caso tenuto a battesimo dall’archistar Massimilano Fuksas. Intorno a Nabucco, Trovatore e il dittico-omaggio ai cento anni dalla nascita di Benjamin Britten composto da Il piccolo Spazzacamino e la festa teatrale Sogni di una notte di mezza estate (con Lella Costa nel ruolo di Puck) si muove, in poco meno di un mese qualcosa di più. Ci sono gli eventi speciali, dalla bad girl Patti Smith al concerto Vita e arte di Beniamino Gigli, destinato alla raccolta di fondi per il restauro della tomba del tenore recanatese, sino al balletto Romeo e Juliet in collaborazione con Civitanova Danza.
Il punto d’appeal del festival resta però tutto il segmento OFF. Un’idea unitaria per pensare non banalmente l’opera in jeans, ma per ridisegnare con contenuti attuali icone del passato. La settimana infatti si declina a passo d’opera: i “lunedì tournée”, con eventi sul territorio, i “martedì young” dedicati ai più piccoli, i “mercoledì mania” per i melomani incalliti (quest’anno si leva dalla polvere il profilo del contralto maceratese Dionilla Santolini grazie ad un libro di Gabriele Cesaretti) le pomeridiane a cura dell’Accademia delle Arti di Macerata e i raffinatissimi aperitivi culturali agli Antichi Forni condotti da Cinzia Maroni.
Al centro di questa agenda “La notte dell’Opera” (1 agosto), che quest’anno ha visto il grande kolossal de L’assedio del Trovatore tra le contrade della città, tra arie d’opera, figuranti, artisti di strada. Opera al centro del cartellone, la produzione maceratese di quest’anno (di cui Il Corriere Musicale ha seguito la recita del 3 agosto) ha regalato momenti di grande interesse. Essenziale ma di grande effetto scenico in un contesto di dimensioni ampie quale l’Arena Sferisterio, la regia di Francisco Negrin gioca sull’uso dell’elemento fuoco come dato di efficace valore simbolico: il rogo è il centro della vicenda, con la sua fissa ciclicità, con i costanti rimandi al passato (un infante arso vivo che percorre la scena) e la chiara premonizione del futuro. Susanna Branchini è una Leonora di sicuro avvenire: voce brunita ed ampia, sonora in acuto ma ben appoggiata nei centri, bella figura e modo di porgere espressivo: un ottimo debutto il suo, che nella seconda aria «D’amor sull’ali rosee» coglie forse il momento più felice della serata. Grande l’attesa per il debutto di Enkelejda Shkosa nel ruolo di Azucena. Affermata interprete rossiniana sino a pochi anni fa, il mezzosoprano albanese ha gestito con la perizia tecnica e l’intelligenza di una belcantista di razza il non facile passaggio. Partita bellicosa all’eccesso (e piuttosto crescente) in «Stride la vampa» si è poi assestata recando in porto una recita equilibrata, con grandi spunti d’interesse: l’acuto è luminoso, il registro di petto sonoro e di grande bellezza.
Simone Piazzola è una delle voci più belle e facili che si siano ascoltate in teatro negli ultimi anni. La pasta, il legato naturale, la schietta facilità in acuto – che gli sono valsi una personale affermazione come Marcello nella bohème in Fenice lo scorso anno – non vengono meno in questa prova. Tuttavia, anche in ragione della giovanissima età, la riflessione è quella di non voler affrettare troppo il passaggio al repertorio più spinto, soprattutto nella dimensione en plein air. Aquiles Machado ha sotto il profilo vocale tutto ciò che gli consente di essere un completo Manrico: la voce ha il colore brillante dell’amoroso richiesto da Verdi nella Trilogia popolare,e insieme l’ampiezza e i centri sonori. Tuttavia la tendenza ad aprire molto i suoni dal registro medio in su ha un po’ compromesso la sua prova. Entrato in scena con qualche ansia in «Deserto sulla terra» ha convinto con «Ah si! ben mio», risolvendo un po’ di fretta la pur temibile «Pira». Buona la prova di Lucio Montanaro (Ferrando) così come convincente quella di Rosanna lo Greco (Ines) e di Enrico Cossutta (Ruiz). Nel valido Coro Lirico Marchigiano “Vincenzo Bellini” istruito da David Crescenzi, si segnala una positiva sezione tenori, mentre il côté femminile non è proprio inappuntabile (anche a causa degli spostamenti) nel «Coro delle zingarelle». Senza mezzi termini maiuscola la buca, con l’orchestra Fondazione Orchestra Regionale delle Marche in ottima forma e l’autorevole concertazione di Paolo Arrivabeni.
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