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Opera • Al Comunale di Bologna, applaudita ripresa dell’opera wagneriana nel superbo allestimento di Kokkos. La simultanea elezione di papa Francesco genera un imprevisto, inedito e irripetibile fervore tra il pubblico della “prima”
di Francesco Lora
13 marzo: all’ordine del giorno, “prima” dell’Olandese volante di Wagner al Teatro Comunale di Bologna e seconda giornata di conclave nella Cappella Sistina. Data per improbabile la fumata bianca a Roma, nel pomeriggio la mente va soprattutto all’opera: con essa il teatro felsineo rende omaggio, nel bicentenario della nascita, a un compositore che sotto le Due Torri è venerato per antica tradizione e che tuttavia ha ricevuto poco spazio nelle ultime stagioni. Va in scena non un nuovo allestimento, bensì quello – superbo – che nel 2000 aveva inaugurato con perentorio fasto la gestione di Luigi Ferrari e Matteo D’Amico. Regia, scene e costumi sono di Yannis Kokkos: uno spettacolo che racconta l’opera wagneriana senza alcuna esegesi cervellotica, ma all’insegna di una bellezza visiva che immobilizza in estatica contemplazione: sulle tinte fredde e sfumate di scene e costumi si agitano le immagini video del mare nordico, mentre un immenso specchio inclinato allunga il colpo d’occhio dello spettatore su ogni angolo del palcoscenico e trasforma in fondale ciò che il pavimento racchiude; quando poi la prua di un grandioso vascello approda sul lato della scena, e il ponte di un altro vascello appare attraverso lo specchio, si grida al miracolo di virtuosismo scenotecnico. Un allestimento indimenticabile.
Ecco i ricordi, sempre freschi, che lo spettatore di vecchia data è pronto a rinnovare in teatro dopo tredici anni. Ma alle 19.06 il comignolo della Sistina inizia a fumare, e la fumata è bianca: mentre nelle case bolognesi si annodano cravatte e si cingono collier in attesa di Wagner, l’occhio implora al televisore di far presto a presentarci il nuovo papa; lo spettacolo della Chiesa, garantito da 2000 anni di prove generali, tiene testa a quello del vate di Bayreuth. Attesa inutile: scattato l’allarme rosso, alle 19.52 il critico musicale monta in taxi – che scialo! – e vola in teatro; otto minuti dopo, con spietato rigore, calano le luci e si alza il sipario. Percepibile tensione su tutta la platea: l’intermittente bagliore di telefoni cellulari, lasciati clandestinamente accesi, rivela l’impaziente scambio di messaggi con pietosi amici rimasti davanti al televisore. Verso le 20.20 un mormorio liberatorio percorre le file di poltrone: l’eletto è Jorge Mario Bergoglio, qui sibi nomen imposuit Franciscum (ma che è anche un appassionato d’opera). Euforia e ancora qualche ragguaglio incrociato, sottovoce, a chi non si era premurato di leggere preventivamente su Wikipedia le venti righe dedicate al vescovo emerito di Buenos Aires. È solo a questo punto che, nel clima irripetibile della serata, occhi e orecchi si riconsegnano a Wagner: la calma ritorna mentre l’Olandese attacca il tempestoso monologo di sortita.
Non solo nel monologo, si ammira il protagonismo di Mark S. Doss, black voice con eccezionale risonanza, ricchezza di armonici, maschia brunitura timbrica e accento tanto autorevole da evocare la terribile divinità di Wotan: un interprete a lungo rimasto sottovalutato, non forse di riferimento assoluto, ma attendibile e prezioso nel magro contesto vocale odierno. L’altro basso-baritono, Mika Kares, presenta invece voce più chiara e leggera, e un tono vivace e colloquiale: risulta così assai ben risolta, a partire dal naturale contrasto di risorse, la differenziazione tra i personaggi dell’Olandese e di Daland. La scuola di canto tedesca, nei suoi alti e bassi, è esemplificata dal soprano Anna Gabler: il registro acuto, fermo e quasi fisso e non sempre omogeneo con quello centro-grave, è tuttavia radioso e schiude le porte a una Senta di innato lirismo. Tanto puntuale quanto querulo, secondo tradizione, è Marcel Reijans nei tenorili panni dell’amante rifiutato, Erik. Gli fa eco, con ben altra fragranza timbrica ma con qualche difetto d’intonazione, il Timoniere di Gabriele Mangione, mentre nella Mary di Monica Minarelli – una veterana delle parti da caratterista – lo smalto vocale è ormai sotto i livelli di guardia.
Non è infine un mistero che i complessi orchestrali e corali italiani abbiano scarsa confidenza con le partiture di Wagner: una frequentazione piuttosto rada aggrava i limiti tecnici e un’insufficiente condivisione dell’orizzonte culturale germanico. Nondimeno, l’Olandese è la più italiana tra le opere di Wagner e il Comunale di Bologna è il più wagneriano tra i teatri italiani: diretta da Stefan Anton Reck, l’orchestra si distingue dunque per morbida cantabilità e solida compattezza, senza mai alzare ostacoli al lavoro delle voci. Ed eccellente è la prova del rispettivo coro, preparato da Andrea Faidutti e forte di una lettura precisa e brillante, di un corposo amalgama timbrico e di un’ammirevole fibra attraverso tutta l’opera. Lunghi e meritati applausi coronano lo spettacolo: il critico musicale ne dà puntuale conto al termine delle 5000 battute richiestegli. Tra lo stendere un paragrafo e l’altro, c’è tempo per tornare su Wikipedia: già poche ore dopo l’elezione, la “voce” dedicata a Bergoglio ha cambiato nome ed è decuplicata nella lunghezza. Le sorprese di un conclave. Chi c’era ricorderà: una “prima” bolognese dove un papa argentino ha tenuto in ostaggio un Olandese volante.
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ho visto lo spettacolo, a Bologna, tredici annii fa, ed alloca mi piacque molto.Credo che andrò a vederlo in aprile al San Carlo. Indubbiamente migliore di quello propinatoci a Roma nel 2005 ( o giù di lì) e della recebte versione scaligera GP