Alla guida della Filarmonica del Teatro Regio di Torino: emozioni e tecnica per Mendelssohn. Nella seconda parte il Concerto per violino con Sergey Galaktionov
di Attilio Piovano foto Ramella&Giannese
SOLITAMENTE GLI ARTISTI orientali hanno un imprint particolare: per dirla tutta si lasciano ammirare per la tecnica ineccepibile, che siano pianisti, violinisti o direttori, ma raramente trasmettono emozioni: beninteso, salvo non poche eccezioni e col beneficio di verifica caso per caso, dacché generalizzare è sempre pericoloso, colpevole e anche un filino qualunquista. Ebbene, lui – il cinese Lü Jia – è l’esatta antitesi del luogo comune testé enunciato. Di emozioni ne trasmette eccome, è un signor direttore – lo ammiriamo da decenni – ha musicalità da vendere e riesce a instaurare un rapporto bellissimo con i professori d’orchestra che paiono divertirsi un mondo a suonare sotto la sua guida. Lo si vede e, più ancora, lo si sente. E allora quante emozioni – di quelle vere, percepite dall’intera sala – la sera di lunedì 2 febbraio al Regio di Torino, in occasione del concerto della Filarmonica del Teatro Regio (che ha appena varato, unica orchestra italiana, un piano volto ad offrire ai propri sostenitori, attraverso il programma di sostegno del ruolo chair, la possibilità «di instaurare una relazione diretta con i componenti dell’orchestra»). Piatto forte la Scozzese di Mendelssohn, di rado ascoltata così viva, fresca, palpitante. Un esempio fra tutti? Il secondo tempo, quel Vivace ma non troppo così prossimo a certe atmosfere del Sogno di una notte di mezza estate, mercuriale e immaginifico, affrontato a velocità supersonica, reso con una leggerezza crepitante ed una grazia indicibili, mercé al perfetto affiatamento della Filarmonica torinese e ad un certosino lavoro di concertazione condotto da Lü Jia: gesto estroverso ed efficace, molta cura dei dettagli, una franca comunicativa e molte altre virtù.
Se in apertura le brume nordiche della celebre Sinfonia parevano avanzare con elegiaca lentezza, delineando panorami di brughiere e Hinghlands, con quelle citazioni di temi popolari e quelle evocazioni di sonorità da cornamuse che della Sinfonia hanno fatto la fortuna (tra i temi ispiratori il castello di Holyrood e le rovine della cappella dove Maria Stuarda era stata incoronata), nell’Adagio centrale Lü Jia ha ben distillato i tesori melodici e l’intensità armonica così peculiari di Mendelssohn, per poi affrontare il Finale con brio ed eccellente verve. E allora ecco affacciarsi mondi eroici, toni epici, come di leggenda, spunti cavallereschi e ancora la riapparizione insistita di quell’inciso iniziale così squisitamente folklorico, giù giù sino allo slargo melodico dell’ultima, maestosa sezione, gioiosa e altisonante, una vera festa per gli ascoltatori che a lungo hanno applaudito entusiasti direttore e compagine orchestrale. E ci si aspettava quanto meno Le Ebridi, come immancabile (fin troppo ovvio) bis, e peccato davvero non ci sia stato: ma le sferzate marine e le ondose, metamorfiche figurazioni della celebre Ouverture erano come preconizzate, come immanenti nella Scozzese che – merita ribadirlo – poche volte è accaduto di ascoltare in concerto con tale efficacia, sì da percepirne al meglio tutta la fragranza odorosa di erica e di salsedine.
In apertura un classico, e si è trattato del beethoveniano Concerto per violino e orchestra op. 61, solista Sergey Galaktionov. Per una felice circostanza della programmazione musicale torinese, in tempi ravvicinati lo si è potuto ascoltare da parte di due diversi interpreti: figurava infatti in cartellone per l’OSNRai la settimana precedente dove aveva potuto godere del magnetismo indicibile della (fascinosa) e brillantissima violinista olandese Simone Lamsma. Al Regio gli aficionados, gli stakanovisti della musica che seguono tutto, ma proprio tutto: saltabeccando da una sala all’altra, giudicando con estrema attenzione, insomma gli appassionati competenti (che a Torino sono numerosi e incalliti) e confrontano e commisurano con millimetrica acribia, l’altra sera al Regio – lo si percepiva in sala – erano intenti a porre a reagire le due interpretazioni (ed ecco le inevitabili partigianerie). Ma si sa, nei fatti dell’arte non è come nello sport, non esiste un podio dove chi sale più in alto finisce per relegare i colleghi nelle posizioni inferiori. E Galaktionov non si è certo risparmiato, centellinando con infinita grazia le seduzioni melodiche del tempo lento (il delizioso Larghetto centrale), affrontando poi con slancio ed esuberanza il vibrante Rondò finale. Ammirato nella cadenza del primo tempo con pianissimi da brivido, ha potuto contare sulla salda guida di Lü Jia che ha ‘accompagnato’ con partecipe, affettuosa sensiblerie e ammirevole scrupolo. Successo pieno e protratti applausi al solista, anche da parte dei ‘colleghi’ orchestrali e dello stesso direttore.