Le Baccanali e La grotta di Trofonio (quest’ultimo coprodotto con il San Carlo di Napoli) in scena al Festival della Valle d’Itria
di Luca Chierici
Proseguendo felicemente nella consuetudine di mettere in scena opere rare appartenenti spesso a stagioni fino a poco tempo fa dimenticate e per nulla considerate nella programmazione dei grandi teatri, il Festival della Valle d’Itria ha quest’anno scelto innanzitutto di proseguire l’indagine sul Barocco, e in particolare quello di Agostino Steffani (1654 – 1728), protagonista due anni or sono di una riscoperta che ha giustamente attirato l’attenzione di critica e pubblico. La lotta di Ercole con Acheloo (1689) ci era sembrata però un titolo molto più interessante, nel suo severo eppure delicato classicismo, rispetto al secondo atto unico proposto in questa edizione del Festival, ossia il “divertimento drammatico” Baccanali, composto per il Carnevale del 1695 per la corte di Ernesto Augusto di Hannover. Presentato nella apposita edizione critica di Cinthia Alireti, Baccanali fa ricorso a uno stile composito che fa uso di rimandi non sempre originali allo stile francese e insiste sul versante pastorale-arcadico con frequenti concessioni a un erotismo di larghe vedute.
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La regìa di Cecilia Ligorio e le scene di Alessia Colosso hanno tratto ispirazione dalle linee architettoniche del chiostro della chiesa di San Domenico, luogo di rappresentazione del titolo di Steffani. In particolare la Colosso ha saputo incorniciare la scena con lunghi filari di ghirlande che assecondavano le suggestioni arcadiche del titolo e ha creato una passerella in rilievo che permetteva la corretta visibilità dell’azione da parte del pubblico. L’Ensemble Cremona Antiqua che utilizzava strumenti originali e la concertazione e direzione di Antonio Greco hanno assicurato il rispetto dei requisiti filologici di questo tipo di repertorio e hanno riversato nell’impresa tutto l’entusiasmo che in genere anima questi gruppi votati alla musica pre-settecentesca.
Dal punto di vista vocale lo spettacolo era del tutto affidato alle esperte reclute dell’Accademia Celletti, una nuova generazione di cantanti che nasce già educata al repertorio del ’600 ma che deve fare comunque i conti con vocalità più estroverse, in linea con le qualità belcantistiche richieste da titoli decisamente posteriori in senso cronologico ai lavori di Steffani. Vittoria Magnarello (Celia), Elena Caccamo (Tirsi) e Paola Leoci (Clori) erano decisamente proiettate verso le esigenze filologiche dei propri ruoli, che hanno sostenuto con bravura e competenza. Barbara Massaro (Driade) ci è sembrata sfoggiare un timbro e una emissione sicuramente più ammalianti che le permetteranno in futuro di affrontare altri ruoli ben più impegnativi. Sulla stessa linea della Massaro si collocava Chiara Manese (Fileno). Yasushi Watanabe ha tratteggiato un Ergasto nobile e convincente, Nicolò Donini è stato un Atlante più che efficace mentre il controtenore Riccardo Angelo Strano, affrontando i ruoli di Bacco e Tirsi, ha confermato le proprie ottime valenze che già si erano notate in passato. Di rilievo, anche se non paragonabili alla rivelazione della Fattoria Vittadini di due anni fa, le prove dei danzatori Joseba Yerro Izaquirre e Daisy Ransom Phillips.
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La ricorrenza del bicentenario della morte di Giovanni Paisiello (1740 – 1816) ha in secondo luogo spostato l’attenzione su un altro titolo sconosciuto ai più, quella Grotta di Trofonio che era semmai più nota per l’omonima opera musicata da Salieri, conosciuta se non altro per qualche estratto inserito da alcune grandi cantanti (ad esempio la Bartoli) nei loro recital da camera. La commedia per musica in due atti di Paisiello, il cui autografo è custodito nella Biblioteca di san Pietro a Majella di Napoli (Commedia rappresentata al Teatro Fiorentini l’anno 1785, poesia di Gianbattista Casti accomodata da Giuseppe Palomba) appartiene in tutto e per tutto a quel genere buffo napoletano che prevede una parte recitata e cantata in puro dialetto partenopeo. Preceduta di poco dal lavoro di Salieri, che era andato in scena nell’ottobre dello stesso anno al Burgtheater di Vienna appunto su libretto di Casti, l’opera di Paisiello, al pari di quella del collega, si rivela assai interessante grazie ai suoi legami mozartiani. Non si tratta solamente del soggetto, che anticipa quello del Così fan tutte (1789-90), ma di vere e proprie anticipazioni stilistiche che ci fanno riconsiderare ancora una volta le fantastiche qualità assimilatrici di Mozart nei confronti dell’ambiente musicale coevo. Va dato atto in questo caso a Paisiello di proporre diversi momenti strumentali e splendide scene d’assieme (il bellissimo concertato a sette nel finale dell’Atto primo o il quartetto all’inizio dell’Atto secondo, ad esempio) che ci ricordano da vicino il linguaggio mozartiano e spiegano come le caratteristiche di parte degli stilemi tipici del grande salisburghese non siano frutto esclusivamente di una geniale creatività spontanea, ma derivino appunto dall’influenza di un linguaggio che già circolava nell’aria.
La grotta di Trofonio è dunque approdata a Martina Franca, titolo coprodotto con il San Carlo di Napoli, grazie al lavoro di revisione critica di Luisa Cosi, all’apporto della sicura guida del direttore Giuseppe Grazioli, alla presenza di una compagnia di canto di notevole spessore e alla leggerezza dello spettacolo ideato da un cantante – Alfonso Antoniozzi – espertissimo di teatro e dotato di una verve umoristica ben nota a chi lo conosce anche al di fuori del palcoscenico. Antoniozzi, con l’aiuto dello scenografo Dario Gessati e del costumista Gianluca Falaschi, ha ambientato l’opera in una Grecia riscoperta attraverso gli occhi di un proto-turista dei primi del ’900.
Il ruolo di Trofonio è stato affidato con lungimiranza al grande basso Roberto Scandiuzzi, e Domenico Colaianni si è felicemente immedesimato nel ruolo di Don Gasperone padroneggiando come pochi l’inflessione partenopea. Altrettanto notevole è stato il giovane Matteo Mezzaro nei panni di Artemidoro. Al di sopra delle altre protagoniste femminili, è stata Caterina Di Tonno quale vivace e vocalmente squisita locandiera Rubinetta. Ma anche Daniela Mazzucato ha fatto ovviamente valere uno straordinario mestiere e una capacità di caratterizzazione del ruolo di Madama Bartolina che le più giovani Benedetta Mazzucato (Dori) e Angela Nisi (Eufelia) non potevano sfoggiare. Vivace il successo di pubblico.
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