Al Teatro alla Scala il recital coinvolgente del baritono tedesco, accompagnato dal pianista Enrico Pace, tra pagine di Beethoven e Schubert
di Luca Chierici
«SE IN FUTURO VI SARANNO ancora ascoltatori dotati di una certa sensibilità per l’arte, e dando per scontato che perduri una comunicazione ai massimi livelli tra interpreti e spettatori, allora la traduzione in musica di una poesia da parte di una mano maestra rimarrà sempre una esperienza impareggiabile.» Così Dietrich Fischer-Dieskau nel suo studio biografico sui Lieder schubertiani, ma la sua nota vale evidentemente per qualsiasi repertorio che va a popolare un concerto di canto di classe superiore come è stato quello che ha ammaliato il pubblico della Scala l’altra sera.
Protagonisti erano il baritono Matthias Goerne, che di Fischer-Dieskau e di un altro mostro sacro dell’interpretazione liederistica, Elisabeth Schwarzkopf, è stato allievo e il magnifico pianista Enrico Pace. Goerne ha ereditato dal maestro la capacità di esporre attraverso il canto e il gesto i significati più reconditi delle parole, e se è possibile si immedesima ancor più nelle pagine da lui interpretate veicolando il proprio messaggio addirittura attraverso il movimento del corpo, come se le linee melodiche e le parole inducessero in lui uno stato di massima esaltazione. Potremmo ascoltare da lui qualsiasi cosa, ma i numeri in programma nel suo recital esaltavano questo stato di grazia ed erano tuttavia tali da richiedere al pubblico uno stato di concentrazione non comune. An die ferne Geliebte è quell’insolito capolavoro beethoveniano che dimostra quanto il sommo musicista potesse esprimere una parola definitiva anche in un genere che non rappresentava la propria massima aspirazione. Il linguaggio musicale è complesso, i sentimenti trattenuti, ma il romanticissimo Schumann troverà in queste pagine un messaggio colmo di passione e lo spunto – nella Fantasia op.17 – per cantare il proprio amore esclusivo per la adorata Clara Wieck.
Di ancora maggiore impegno era tuttavia la scelta di Schwanengesang, l’ultimo ciclo liederistico di Schubert che contiene alcune pagine tra le sue più involute e di ostica interpretazione. In questo caso Goerne ha trovato in Enrico Pace un partner ideale che ha saputo sostenere con un suono sempre pieno e vibrante i momenti più meditativi e tradizionalmente più difficili da esporre soprattutto in sede concertistica. La stupefatta passacaglia di Der Doppelgänger e la raffinatissima e apparentemente semplice ballata conclusiva di Der Taubenpost (che è stata offerta come unico bis) hanno rappresentato due tra i momenti magici della serata, che si è conclusa con un lungo e affettuoso abbraccio tra i due interpreti, accolti dall’intenso applauso del pubblico.