Debutto scaligero per il direttore olandese: concerto molto atteso nel quale ha diretto Ein deutsches Requiem di Johannes Brahms
di Stefano Cascioli foto © Brescia & Amisano
PER LA PRIMA VOLTA BERNARD HAITINK, leggendaria bacchetta olandese, sale sul podio del Teatro alla Scala. Non poteva scegliere programma migliore per un debutto così speciale: Ein deutsches Requiem di Johannes Brahms, pilastro della letteratura decadente tedesca, da sempre parte fondamentale del vastissimo repertorio del direttore, la cui interpretazione storica venne immortalata nel 1980 in un’incisione della Philips, alla guida dei Wiener Philharmoniker.
Già Direttore Musicale della Royal Opera House e principal conductor della London Philharmonic, Haitink vanta numerose collaborazioni con le orchestre più importanti del mondo, in particolare il sodalizio che lo ha legato per più di quarant’anni alla Concertgebouworkest di Amsterdam, è culminato con le incisioni dei più grandi cicli sinfonici dell’Ottocento, oltre che di alcune grandi pagine del Novecento storico. Solo per citare alcune tappe della sua strabiliante carriera, la cui presenza alla Scala era attesa con grande fervore.
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Nonostante l’età avanzata (quasi 87 anni), Haitink ha colpito per l’estrema lucidità con la quale ha controllato il Coro e l’Orchestra del teatro milanese. Con il suo gesto sempre nitido e arioso, ricordava l’eleganza di un pittore, soprattutto per la rigorosa essenzialità, e la sua bacchetta, dalla tavolozza così ricca, sembrava dipingere un quadro etereo, dalle sfumature tanto morbide quanto profonde. Una lettura tradizionale ma fresca, che ha messo in evidenza i tratti più intimi e misteriosi della partitura. Dalla cupa inquietudine del primo corale «Selig sind, die da Leid Tragen», alla possente maestosità dei fugati, passando per la delicatezza dell’aria dedicata al soprano, «Ihr habt nun Traurigkeit», il tutto collegato da un’impostazione molto solenne, con stacchi di tempo comodi e una tensione musicale costante.
Eccellente la prova dei solisti: il baritono Hanno Müller-Brachmann ha brillato per precisione e pulizia di suono, senza mancare di enfasi drammatica nella declamazione del salmo «Herr, lehre doch mich». Meno vigorosa, ma altrettanto convincente, il soprano Camilla Tilling rendeva le candide sfumature con voce morbida e leggiadra. Questa parte costituisce un momento di consolazione per Brahms, sofferente per la dolorosa perdita della madre, ed anticipa l’angosciante «Denn wir haben hie keine bleibende Statt», interpretato con una verve esaltante da orchestra, coro e baritono.
Il finale, «Selig sind die Toten», brillava di una luce particolare, quasi catartica, che ha purificato l’ascolto dal travaglio delle pagine precedenti. Pagine che, a differenza dei Requiem fino a quel momento scritti, non utilizzano il tradizionale testo latino (sostituito dalla traduzione luterana delle Sacre Scritture), e che non si pongono nemmeno l’obbiettivo di celebrare una specifica messa da morto. Ein deutsches Requiem è un capolavoro sinfonico-corale che continua la secolare tradizione della musica sacra protestante (Bach e Schütz ne sono i più grandi riferimenti), ma è anche una riflessione sulla natura dell’uomo, e il fatto che l’opera sia stata destinata al pubblico laico delle sale da concerto, dimostra quanto un Requiem così singolare e innovativo costituisca, a suo modo, un simbolo di conciliazione dell’umanità, accomunata da un inesorabile destino comune, e la memorabile lettura di Haitink, accolta dall’ovazione del pubblico scaligero, non ha fatto altro che impreziosire un vero e proprio gioiello della storia della musica.
Recensione del concerto tenutosi al Teatro alla Scala il 31 gennaio
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