Al teatro Comunale di Vicenza, con la direzione di Isolde Kittel-Zerer e l’orchestra Il Teatro Armonico un’esecuzione oratoriale per molti aspetti accattivante, frutto di una iniziativa nata dal Progetto Bach creato un quindicennio fa dall’organista Margherita Dalla Vecchia con la collaborazione di Michael Radulescu
di Cesare Galla
ESEGUIRE IN UN TEATRO la Passione secondo Matteo ha oggi il sapore di un ideale riconoscimento storico. Naturalmente, non appare plausibile – anche se una ricostruzione sarebbe possibile – affrontare il supremo capolavoro sacro di J.S. Bach secondo le linee-guida delle esecuzioni berlinesi del marzo 1829, guidate nella sala grande della Singakademie prima da Felix Mendelssohn e poi da Karl Zelter. Con tagli, “aggiustamenti” e scelte esecutive lontane dai criteri della moderna filologìa. Ma se oggi una prassi esecutiva tendenzialmente vicina all’intenzione bachiana è ormai consolidata e la veste sonora della Passione risulta quindi sicuramente diversa da come apparve in occasione di quell’epocale “restituzione” di primo Ottocento, rimane comunque significativa la scelta – nata a Berlino quasi due secoli fa – di uscire dalle chiese, oltre che dalla liturgia luterana in cui l’opera era ab origine incastonata, per esaltare l’universalità del gesto creativo bachiano, che va ben oltre la confessionalità della scelta di genere.
Del resto, quando a Lipsia approdò la moda delle Passioni-Oratorio, intreccio di testo evangelico intonato in recitativo, Corali, cori polifonici e Arie spirituali di schietta impronta operistica (trasferimento della melodrammatica teoria degli Affetti nella pratica liturgica), sempre con determinante accompagnamento strumentale, la nuova usanza apparve “profana” abbastanza per far rimpiangere la maniera di prima. In precedenza, per il racconto della Passione «ci si accontentava di cantare con semplicità e raccoglimento» e non «nella maniera più artificiale, con ogni tipo di strumenti», si lamenta l’oscuro autore di una “Storia delle cerimonie religiose in Sassonia” pubblicata nel 1732. A quell’epoca, le due Passioni oggi complete di Bach (secondo Giovanni oltre che secondo Matteo) erano già state eseguite più volte.
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In realtà è noto che raramente, nella sua sterminata opera sacra, Bach raggiunse una profondità teologico musicale apparentabile a quella della Passione secondo Matteo. Ma è altrettanto noto che forse mai il genio del compositore tedesco arrivò a un simile grado di potente soggettività creatrice all’interno della oggettività del linguaggio musicale barocco. Ed è questo aspetto a rendere unico e universale il capolavoro, oltre ogni definizione di genere. A renderlo perfettamente compatibile con il teatro. E vorremmo dire con la scena, o comunque con una logica rappresentativa, come varie edizioni sceniche degli ultimi anni si sono incaricate di dimostrare “ad abundantiam”, da quella di Jonathan Miller a quella di pochi anni fa firmata da Peter Sellars.
Al teatro Comunale di Vicenza, beninteso, non c’è stato spettacolo, ma un’esecuzione oratoriale per molti aspetti accattivante, frutto di una iniziativa che ha visto il Progetto Bach creato un quindicennio fa dall’organista Margherita Dalla Vecchia con la collaborazione di Michael Radulescu trovare per la grande impresa la collaborazione di forze esecutive tedesche. Sul palco vicentino, la separazione fra le due orchestre e i due cori – predisposta da Bach – era una linea invisibile ma non evanescente. Il confronto, talvolta lo scontro fra le masse sonore, vocali e strumentali, è stato comunque apprezzabile pur nella concentrazione degli esecutori in poco spazio. Lo si è dovuto alla bacchetta di Isolde Kittel-Zerer, specialista capace di mantenere un saldo approccio unitario, tale da rendere in tutta la sua evidenza il respiro grandioso della grandiosa partitura, senza ignorarne i dettagli di stile, le particolarità coloristiche, la complessità di una scrittura che continuamente esce dalle coordinate di genere per spostare oltre il confine dell’espressività.
La direttrice è stata assecondata da una formazione strumentale equilibrata e preparata, l’orchestra barocca Il Teatro Armonico, capace di delineare un suono corposo, lontano da certe quaresimali ristrettezze filologiche e tuttavia ben consapevole delle coordinate di stile, nella cavata degli archi non meno che nel colore dei fiati (con la tinta arcana degli oboi da caccia a caratterizzare l’intera esecuzione) e nell’efficacia di un fraseggio delle mobilissime dinamiche interne. In bella sintonia sono apparsi i due gruppi corali, precisi sia nella misura interiore dei Corali che nella ricchezza dei cori polifonici e nella drammaticità delle perorazioni come “turba”. Ad essi in vari momenti si sono affiancate con efficacia le voci bianche del conservatorio “Buzzolla” di Adria (Rovigo). Di livello la pattuglia dei solisti vocali, con il tenore Knut Schoch a fare del recitativo dell’Evangelista un luogo di raffinate sottigliezze belcantistiche e con il basso Stephan Zenkl a disegnare uno ieratico e sofferto Cristo. Bene anche il soprano Tanya Aspelmeier e soprattutto il contralto Anne-Beke Sontag. La sua parte è titolare delle pagine più emozionanti dell’intera partitura: la resa è stata caratterizzata dall’eleganza del timbro, dalla dolente e avvincente interiorità del fraseggio. Meno convincente il giovane basso Felix Heuser, voce educata ma leggera.
Accolto da un teatro quasi al completo e da vivissimo successo, il concerto era la seconda parte di un concentrato tour pre-pasquale che ha visto questa Passione secondo Matteo debuttare a Cremona e dopo Vicenza toccare anche il teatro Ristori di Verona e la Scuola Grande di San Rocco a Venezia.
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