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Pelléas et Melisande, il sublime capolavoro di Debussy

di Attilio Piovano
18 Ottobre 2015
in OPERA, RECENSIONI
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Opera nel regno del silente e dell’incorporeo. Inaugurata a Torino la stagione 2015-16 dell’OSNRai, in Auditorium ‘Toscanini’, con il suo Direttore principale Juraj Valčuha


di Attilio Piovano foto © Studio PiùLuce


Un pool di specialisti in musica francese proto-novecentesca o, se si preferisce, uno strepitoso cast vocale per un capolavoro assoluto, il Pelléas et Mélisande di Debussy col quale si è inaugurata a Torino la stagione dell’OSNRai, in Auditorium ‘Toscanini’ la sera di giovedì 15 ottobre 2015. Un’opera simbolista, il Pelléas, partitura di inarrivabile bellezza, eleganza e raffinatezza che, a conti fatti, ci guadagna enormemente in un’esecuzione in forma di concerto (con sopratitoli e giochi di luce molto soft a sottolineare i cambi di scena, ovvero l’alternanza giorno-notte, e inoltre la semplice entrata e uscita dei solisti). Un’opera fondata sull’immanente presenza dell’acqua, declinata in tutte le sue possibili valenze, e allora l’acqua del mare e l’acqua della fontana dei ciechi con le iridescenze delle arpe, ma anche l’acqua stagnante nei sotterranei del castello, segnacolo di morte, e l’acqua come elemento ancestrale, come liquido amniotico.Pélleas et Mélisande_applausi_PiuLuce_2015_235

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Un’opera in cui il ‘silente’ dialogo tra i personaggi, spesso attanagliati da una vera e propria incomunicabilità, nonché il fascino arcano dell’inespresso e dell’inconoscibile, giocano un ruolo di assoluta priorità, grazie al libretto del belga Maeterlinck fitto di preziosità lessicali. Mélisande creatura misteriosa che non si sa donde provenga e dal destino sfumato; darà alla luce una bimba, uscendo di scena in punta di piedi, così come era apparsa sull’orlo di una fonte, al limitare del bosco.

Sicché la sua morte appare lontana mille miglia dal pathos che circonda le eroine romantiche, per non parlare dell’universo verista. E anche la gelosia in cui si dibatte, acciecato senza via d’uscita la figura di Golaud, il suo complesso rapporto col fratellastro Pelléas, il suo stesso divenire assassino, sembrano come sospesi nel regno dell’incorporeo. Su un plot che pare uscito dall’universo degli adorati quadri pre-raffaelliti Debussy seppe intessere una partitura di sovrumana bellezza: per lo più giocata sulle mezze tinte e sulle dinamiche delicate, benché non manchino apici e momenti di forte tensione drammatica, specie nel quarto e quinto atto, delineando un forte iato, o se si preferisce un vero e proprio gap rispetto alla più evanescente prima parte.

Juraj Valčuha, dal podio, l’ha dipanata con mano sicura, evidenziandone le mille seduzioni timbriche, con tempi allentati, ma anche alcune incalzanti ‘strette’ a rendere palpabile il precipitare inesorabile del destino, la caduta dei protagonisti in un abisso senza ritorno, privo di riscatto o prova d’appello. Superba la prova fornita dall’Orchestra Sinfonica Nazionale Rai, capace di delicatissime rarefazioni e, per contro, clangori immani di forte impatto emotivo.

Coinvolgente fin dai primi istanti l’interpretazione del soprano Sandrine Piau (dal perfetto physique du rôle) che ha saputo sbozzare una Mélisande delicata e attonita, incapace di far del male a chicchessia e pur in grado di provare l’estasi dell’innamoramento. Tecnica solidissima e molta espressività. Così pure assai ammirato il Golaud del baritono Paul Gay (anch’egli perfettamente nella parte quanto a figura scenica, pur nel frac d’ordinanza) vocalmente impeccabile e incisivo sì da trasmettere al pubblico la febbrile perfidia del personaggio, ma anche la sua profonda solitudine e le sue mille, contraddittorie sfumature psicologiche cui in orchestra fanno da contraltare sonorità cupe, talora agghiaccianti.  Bravissimo e a lungo applaudito il baritono Guillaume Andrieux, un Pelléas in grado di trascorrere con naturalezza e vibranti accenti dalla mestizia e dalle inquietudini giovanili alla gioia euforizzante dell’amore adolescenziale. Non da meno il basso Robert Lloyd,  l’anziano re Arkël, autorevole, pacato e tenerissimo nei confronti della piccola, indifesa Mélisande, circonfusa dalle liquidità di una strumentazione perlacea e trasparente. Un plauso speciale al piccolo Yniold ben reso (fin dalla gestualità infantile e sagace) dalla bravissima Chloé Briot dal fisico minuto che, certo, aumentava enormemente la suggestione. Un poco sotto traccia la Geneviève del contralto Karan Armstrong, parsa opaca, ma ha una parte di scarso rilievo. Bene Mauro Borgioni per la ‘comparsata’ del pastore (seguito da uno spot luminoso) e poi nel ruolo ‘in scena’ del dottore.

Da menzionare l’apporto del Coro Maghini (molto opportunamente collocato in alto, in balconata, per il suo pur limitato intervento, con fascinoso effetto ‘fuori scena’). Bellissimi gli interludi sinfonici di questo capolavoro assoluto, raramente ascoltato con sì grande emozione. Pubblico (colpevolmente) un po’ scarso: chi ha disertato questa ‘prima’ di certo  s’è perso una esecuzione epocale mentre chi era presente, per contro, ha applaudito a lungo con convinzione piena, decretando il successo vivissimo della serata della quale conserveremo a lungo memoria.

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Tags: Chloé BriotClassical musicClaude DebussyCoro MaghiniDebussyGuillaume AndrieuxJuraj ValcuhaKaran ArmstrongPaul GaySandrine Piau
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Attilio Piovano

Attilio Piovano

Musicologo e scrittore, ha pubblicato (tra gli altri) Invito all’ascolto di Ravel (Mursia 1995, ristampa RCS 2018), i racconti musicali La stella amica (Daniela Piazza 2002), Il segreto di Stravinskij (Riccadonna 2006) e L’uomo del metrò (e-book interattivo per i tipi de ilcorrieremusicale.it 2016, prefazione di Gianandrea Noseda). Inoltre i romanzi L’Aprilia blu (Daniela Piazza 2003) e Sapeva di erica, di torba e di salmastro (rueBallu 2009, prefazione di Uto Ughi). Coautore di una monografia su Felice Quaranta (con Ennio e Patrizia Bassi, Centro Studi Piemontesi 1994), del volume Venti anni di Festival Organistico Internazionale (con Massimo Nosetti, 2003), curatore e coautore del volume La terza mano del pianista (Testo & Immagine 1997). Laurea in Lettere, studi in Composizione, diploma in Pianoforte, in Musica corale e Direzione di Coro, è autore di contributi, specie sulla musica di primo ‘900, apparsi in volumi miscellanei, atti di convegni e su rivista. Saggista e conferenziere, vanta collaborazioni con La Scala, Opéra Royal Liège, RAI, La Fenice, Opera di Roma, Lirico di Cagliari, Coccia di Novara, Carlo Felice di Genova, Stresa Festival, Orchestra Camerata Ducale ecc.; a Torino col Festival MiTo (già Settembre Musica, ininterrottamente dal 1984), Unione Musicale, Teatro Regio, Politecnico e con varie altre istituzioni. Già corrispondente del «Corriere del Teatro», ha esercitato la critica su più testate; dalla fondazione scrive per «ilcorrieremusicale.it»; ha scritto inoltre per «Torinosette», magazine de «La Stampa», ha collaborato con «Amadeus» e scrive (dal 1989) per «La Voce del Popolo» (dal 2016 divenuta «La Voce e il Tempo»); dal 2018 recensisce per «Il Corriere della Sera» (edizione di Torino). Membro di giuria in concorsi letterari nonché di musica da camera e solistici. Docente di Storia ed Estetica della Musica (dal 1986, presso vari Conservatori), dal 1991 a tutt’oggi è titolare di cattedra presso il Conservatorio “G. Cantelli” di Novara dove è inoltre incaricato dell’insegnamento di Storia della Musica sacra moderna e contemporanea nell’ambito del Corso biennale di Diploma Accademico in Discipline Musicali (Musica sacra) attivato dall’a.a. 2008/2009 in collaborazione col Pontificio Ateneo di Musica Sacra in Roma. Dal 1° gennaio 2018, cura inoltre l’Ufficio Stampa del Conservatorio “G. Cantelli”. Dal 2012 tiene corsi monografici sulla Storia del Melodramma (workshop su «Architettura, Scenografia e Musica» presso il Dipartimento di Architettura & Design del Politecnico di Torino, Corso di Laurea Magistrale, in collaborazione con Fondazione Teatro Regio). È stato Direttore Artistico dell’Orchestra Filarmonica di Torino. Dal 1976 a Torino è organista presso la Cappella Esterna dell’Istituto Internazionale ‘Don Bosco’, Pontificia Università Salesiana (UPS), dal 2017 anche presso la barocca chiesa di San Carlo, nella piazza omonima, e più di recente in Santa Teresa. Nell’autunno del 2018 in veste di organista ha partecipato ad una produzione del Requiem op. 48 di Fauré. È citato nel Dizionario di Musica Classica a cura di Piero Mioli, BUR, Milano © 2006, che gli dedica una ‘voce’ specifica (vol. II, p. 1414).

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