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Penderecki ai giovani compositori: «Studiate il repertorio polifonico»

di Attilio Piovano
12 Febbraio 2012
in CONCERTI, Interviste, RECENSIONI
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Intervista al compositore e direttore d’orchestra polacco, ieri a Torino per dirigere proprie composizioni e l’Ottava di Dvorák 


di Attilio Piovano


Sul podio della Filarmonica ’900 del Teatro Regio di Torino è salito ieri sera, lunedì 16 gennaio, Krzysztof Penderecki, tra i massimi compositori viventi: in programma sue musiche nella prima parte della serata. E si trattava in particolare della «Sinfonietta n° 1 per archi» e della «Sinfonietta n° 2 per flauto ed archi», due lavori degli anni ’90 del ’900. Della prima, tagliata in due soli concisi movimenti, si è apprezzata l’originalità timbrica. Con quella sua accentuata alternanza di pieni e di vuoti, e quell’esordio suggestivo con feroci strappate dell’orchestra subito seguite da una mesta melopea della viola. Ben assecondato dalla Filarmonica del ‘900 (un plauso speciale alle prime parti, impegnate in passi solistici, dunque Serguei Galaktionov violino e Giulia Panchieri viola) Penderecki ha posto in evidenza la contrapposizione di zone diafane e assorte alle ruvide figurazioni di cui la pagina è intessuta. Nel Vivace, poi, dai vibranti pizzicati, a prevalere è una scrittura fugata, serrata e rigorosa, di innegabile fascino, ben resa nell’esecuzione torinese di ieri sera, giù giù sino all’epilogo, sfuggente ed enigmatico come un punto interrogativo proteso sull’abisso.

Quanto alla «Sinfonietta n° 2» si tratta della rielaborazione dell’originale per clarinetto ed archi (1994) in una nuova veste con flauto solista, espressamente sollecitata da Massimo Mercelli che la tenne a battesimo nel 2006 eseguendola poi da allora, sotto la direzione dell’autore, una ventina di volte. Misteriosa in apertura, con un’estesa cadenza del flauto non immemore del debussiano Prelude à l’après midi d’un faune, la «Sinfonietta» contempla quattro movimenti concatenati gli uni agli altri, un iniziale Notturno entro al quale un lungo pedale dei contrabbassi introduce un elemento di cupa gravità, poi un rapidissimo e conciso Scherzo, una leggiadra Serenade dai tratti talora grotteschi, quasi riverbero di certe atmosfere del Pierrot Lunaire e da ultimo un esteso congedo (Abschied) che recupera in parte l’atmosfera selenica dell’esordio; il flauto dialoga con i violini e con la viola, rivelando una scrittura di natura cameristica di innegabile charme nonostante qualche tratto leggermente dispersivo, unica veniale colpa imputabile alla valida partitura che la Filarmonica del Teatro Regio ha affrontato con apprezzabile sicurezza. Applaudito il flautista e dedicatario Mercelli, per la bravura tecnica e l’espressività della sua performance. Notevole il passo finale in cui il flauto dialoga con il violino primo inerpicato ad altezze vertiginose alternando zone desolate a a passi di siderale bellezza timbrica. Interamente dedicata a Dvorák la seconda parte della serata: Penderecki ha diretto la serena ed estroversa «Ottava Sinfonia» (un capolavoro assoluto di freschezza e grazia) che gli dev’essere particolarmente congeniale dacché la inserisce spesso in programma in abbinamento a proprie musiche.

È piaciuto il piglio insolitamente energico e scorrevole impresso all’Allegretto del quale altri preferiscono sottolineare una sua allure graziosamente salottiera (a fronte di zone di indugio nel primo tempo), così pure apprezzata l’incisiva verve ritmica conferita alla parte centrale del Finale di cui Penderecki ha evidenziato la celeberrima e indimenticabile fanfara della tromba (Ivano Buat), e con quel passo turchesco di seducente brio. Dopo il concerto incontriamo in camerino Penderecki che molto cortesemente accetta di rispondere alle nostre domande per una breve intervista: ad attorniare il maestro, e a fargli festa, una significativa delegazione di suoi concittadini guidata dal console generale di Polonia in Milano Krzysztof Stzralka, dal console onorario della Repubblica di Polonia in Torino, Ulrico Leiss von Leimburg e dalla presidente della Comunità polacca di Torino Wanda Romer. La pianista Gaja Kunce gentilmente si presta a farci da traduttrice di lusso.

Lei maestro è venuto più volte a Torino, almeno a partire dal lontano 1982 quando diresse al Regio l’Orchestra Nazionale di Katovice per Settembre Musica. Come ha trovato questa sera il pubblico torinese?
«Già molto prima venni a Torino – ci corregge con decisione – a metà degli anni ‘60 diressi la Passio secundum Lucam. Questa sera? Un pubblico meraviglioso quello torinese, un pubblico entusiasta e caloroso, un pubblico di intenditori, un pubblico colto che sa ascoltare con attenzione anche la musica contemporanea.

Lei ha sempre mostrato una speciale attenzione nei confronti degli archi fin dalla «Trenodia per le vittime di Hiroshima». La sua scrittura per archi è cambiata molto negli anni ‘90, lei lo dichiara anche in un intervista a «Sistema Musica». Con le due «Sinfoniette» che abbiamo ascoltato si può parlare di recupero del passato? Della tradizione classica nel senso più ampio possibile?
«Sì certo, con gli anni si apprezza sempre di più la tradizione, invecchiando si ritorna al passato… alle proprie radici, anche musicali dunque, sì, si può parlare di una scrittura che recupera elementi del passato della tradizione, appunto, sia pure con un linguaggio aggiornato…»

Lei ha sempre dedicato molte delle sue risorse alla musica sacra (memorabile il suo «Te Deum» per Giovanni Paolo II al quale Lei fu molto legato). C’è ancora spazio oggi per il repertorio sacro?
«Certo: i credenti sono ancora molti nel mondo – afferma con decisione – i testi sacri, del resto, hanno un valore per così dire universale che trascende le singole religioni, intendo dire le singole confessioni…»

So che ha apprezzato la «Tosca» ora in scena al Regio. Lei stesso si è dedicato alla lirica con I «Diavoli di Loudun» e «Ubu rex». Quale partitura teatrale si porterebbe sull’isola deserta?
«Mah… ecco…» – ci osserva spaesato e riflette a lungo, prima di rispondere: nei suoi occhi intuiamo un rapido ed ideale excursus storico da Monteverdi al ‘900 poi, all’improvviso esclama senza esitare: «Wagner, senza dubbio».

Quale opera? – incalziamo –
«Wagner è il titano della musica – allarga le braccia – tutto Wagner…».

E quale partitura sinfonica?
«Impossibile rispondere – afferma perentorio i capolavori sono moltissimi…»

Quale consiglio ad un giovane che si accosti alla composizione?
«Studiare, studiare e ancora studiare: soprattutto il repertorio polifonico, la polifonia è la base di tutto…».

Il ricordo più bello di questa sua breve incursione torinese che si porta a casa?
«Il concerto di stasera – afferma con entusiasmo – l’orchestra, il pubblico, la bella sala dalla valida acustica…».

Ci congediamo con un arrivederci a Torino. Forse verrà per «L’angelo di fuoco» che Gergiev dirigerà prossimamente al Regio, forse tornerà a dirigere. Terminata l’intervista il sovrintendente Walter Vergnano, che ci ha pazientemente atteso, inizia a conversare fitto con Penderecki. Nuovi progetti? Chissà: rigorosamente top secret (per ora).

© Riproduzione riservata

Tags: Filarmonica ’900Krzysztof Penderecki
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Attilio Piovano

Attilio Piovano

Musicologo e scrittore, ha pubblicato (tra gli altri) Invito all’ascolto di Ravel (Mursia 1995, ristampa RCS 2018), i racconti musicali La stella amica (Daniela Piazza 2002), Il segreto di Stravinskij (Riccadonna 2006) e L’uomo del metrò (e-book interattivo per i tipi de ilcorrieremusicale.it 2016, prefazione di Gianandrea Noseda). Inoltre i romanzi L’Aprilia blu (Daniela Piazza 2003) e Sapeva di erica, di torba e di salmastro (rueBallu 2009, prefazione di Uto Ughi). Coautore di una monografia su Felice Quaranta (con Ennio e Patrizia Bassi, Centro Studi Piemontesi 1994), del volume Venti anni di Festival Organistico Internazionale (con Massimo Nosetti, 2003), curatore e coautore del volume La terza mano del pianista (Testo & Immagine 1997). Laurea in Lettere, studi in Composizione, diploma in Pianoforte, in Musica corale e Direzione di Coro, è autore di contributi, specie sulla musica di primo ‘900, apparsi in volumi miscellanei, atti di convegni e su rivista. Saggista e conferenziere, vanta collaborazioni con La Scala, Opéra Royal Liège, RAI, La Fenice, Opera di Roma, Lirico di Cagliari, Coccia di Novara, Carlo Felice di Genova, Stresa Festival, Orchestra Camerata Ducale ecc.; a Torino col Festival MiTo (già Settembre Musica, ininterrottamente dal 1984), Unione Musicale, Teatro Regio, Politecnico e con varie altre istituzioni. Già corrispondente del «Corriere del Teatro», ha esercitato la critica su più testate; dalla fondazione scrive per «ilcorrieremusicale.it»; ha scritto inoltre per «Torinosette», magazine de «La Stampa», ha collaborato con «Amadeus» e scrive (dal 1989) per «La Voce del Popolo» (dal 2016 divenuta «La Voce e il Tempo»); dal 2018 recensisce per «Il Corriere della Sera» (edizione di Torino). Membro di giuria in concorsi letterari nonché di musica da camera e solistici. Docente di Storia ed Estetica della Musica (dal 1986, presso vari Conservatori), dal 1991 a tutt’oggi è titolare di cattedra presso il Conservatorio “G. Cantelli” di Novara dove è inoltre incaricato dell’insegnamento di Storia della Musica sacra moderna e contemporanea nell’ambito del Corso biennale di Diploma Accademico in Discipline Musicali (Musica sacra) attivato dall’a.a. 2008/2009 in collaborazione col Pontificio Ateneo di Musica Sacra in Roma. Dal 1° gennaio 2018, cura inoltre l’Ufficio Stampa del Conservatorio “G. Cantelli”. Dal 2012 tiene corsi monografici sulla Storia del Melodramma (workshop su «Architettura, Scenografia e Musica» presso il Dipartimento di Architettura & Design del Politecnico di Torino, Corso di Laurea Magistrale, in collaborazione con Fondazione Teatro Regio). È stato Direttore Artistico dell’Orchestra Filarmonica di Torino. Dal 1976 a Torino è organista presso la Cappella Esterna dell’Istituto Internazionale ‘Don Bosco’, Pontificia Università Salesiana (UPS), dal 2017 anche presso la barocca chiesa di San Carlo, nella piazza omonima, e più di recente in Santa Teresa. Nell’autunno del 2018 in veste di organista ha partecipato ad una produzione del Requiem op. 48 di Fauré. È citato nel Dizionario di Musica Classica a cura di Piero Mioli, BUR, Milano © 2006, che gli dedica una ‘voce’ specifica (vol. II, p. 1414).

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