All’Accademia Nazionale di Santa Cecilia la prima esecuzione italiana di Speaking drums del compositore e direttore ungherese. Ligeti, Ives e Gershwin completano il programma
di Daniela Gangale foto © Musacchio&Iannello
LE MUSE ISPIRATRICI, CARE ALLA MITOLOGÌA CLASSICA, esistono anche nella storia della musica: sono generalmente musicisti in carne ed ossa, che col loro talento e la loro spiccata personalità colpiscono l’immaginario dei compositori e innescano quella scintilla che dà l’avvio all’opera d’arte. È questo il caso anche di Speaking drums, quattro poemi per percussione solista e orchestra su testi di Sándor Weöres, dell’ungherese Peter Eötvös, brano eseguito in prima italiana sabato pomeriggio nella stagione dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e dedicato proprio al solista, Martin Grubinger. Il titolo del pezzo, composto nel 2012, è esplicativo di per sé: l’interprete aggiunge alle percussioni anche la propria voce, declamando frammenti di testo poetico scarnificati e visti come pura combinazione di ritmo e suono, più che come parole significanti.
Eötvös stesso ha dichiarato: «L’idea di questo pezzo mi è venuta anche vedendo alcuni musicisti jazz, soprattutto percussionisti, che quando suonano sembra che abbiano qualcosa da dire, sembra che parlino con i loro strumenti. Da qui anche il titolo di “tamburi parlanti”. […] La mia idea era che il percussionista insegnasse a parlare ai propri strumenti». L’energia accattivante del giovane interprete austriaco ha messo in scena sul palco dell’Auditorio una performance di grande ironia, a tratti addirittura grottesca, che ha molto divertito il pubblico in sala; il brano propone una scrittura elegante e raffinata, forse senza grandi sorprese per i frequentatori della contemporanea, in linea con lo stile del compositore che è uno dei più importanti della sua generazione.
Oltre che Eötvös compositore, il pubblico ha potuto apprezzare anche l’Eötvös direttore alla testa dell’Orchestra di Santa Cecilia, in un programma che spaziava nel Novecento, tra Europa e America e che ha messo in risalto le doti di apollineità e di chiarezza di questo musicista. Specialmente nel primo brano, Melodien di György Ligeti, l’orchestra ha reso la nuvola di suono leggerissima e i mondi sonori ligetiani impalpabili e vagamente ossessivi con estrema sicurezza, offrendo un suono caldo e avvolgente. Nella seconda parte del concerto sono stati protagonisti gli Stati Uniti, di cui Eötvös a saputo cogliere con sicura sensibilità tanto il lato introspettivo, nei Three Places in New England di Charles Ives quanto quello giocoso di An American in Paris di George Gershwin; in particolare per quest’ultimo conosciutissimo pezzo, Eötvös ha scelto dei tempi leggermente più ampi del consueto, mettendo in risalto la bellezza seduttiva del suono dell’Orchestra di Santa Cecilia.