Ok, occhio al maestro giusto. Altrimenti sono guai. Eh sì, la questione fa venire il mal di testa. Scegliere il corso adatto per il proprio pargolo non è una cosa da poco
Violino, pianoforte, percussioni, quello che si vuole. Questione non secondaria, in un clima nel quale si mette sotto accusa – ormai giustamente – un sistema che tratta l’educazione musicale come una Cenerentola, in una società, come di recente ha fatto notare sulle pagine del “Sole 24 Ore” il musicologo Quirino Principe, che non favorisce il ricambio generazionale nelle sale da concerto, col rischio di ritrovarsi vuote le platee del futuro prossimo, causa l’estinzione, come i dinosauri, del canuto pubblico tifoso della Classica, ancora in vita. Che fare per reagire è presto detto – col gusto della provocazione -: mandiamoli tutti a lezione, i piccoli, dall’età di cinque anni in poi. Occhio all’ambizione fuori scala e alle speranze – nel 99% delle volte solo dei genitori – di trasformare i principini di casa in Vivaldi, Paganini e Mozart e altre star del genere. E occhio, soprattutto, al corso che si sceglie. Si fa presto infatti a dire: “studio”.
Capita di vedere sulle cancellate dei più diversi istituti e plessi del Belpaese campeggiare annunci della serie “piccolo conservatorio 6-12 anni”, “laboratorio musica piccini”, “coro gospel bimbi”, “lezioni private di arpa per bambine” e avanti così, fino allo sfinimento. È il mercato musica & infanzia. Di primo acchito niente di male, un soggetto domanda un soggetto offre. Ma a pensarci su un attimo, un quesito sorge spontaneo. Anzi due, se non tre: ma qual è l’obiettivo dell’iscrizione? Che tipo di formazione si vuole? E soprattutto, che importanza dare alla musica? Iniziamo dall’ultima, solo per caso finita in coda.
Fatti salvi i professionisti, semi-professionisti e i cultori della materia (i figli dei quali molto spesso, e magari loro malgrado, sono destinati a votarsi allo strumento), ad altri va ricordato quanto ormai la scienza ha messo nero su bianco da anni e che viene ricordato dai media.
In sintesi: la musica fa bene ai piccoli (cervello, sviluppo, carattere, concentrazione e chi più ne ha più ne metta), ovvio, in generale a tutti. Neurologi, psicologi e ricercatori lo hanno spiegato e lo spiegano in tutte le salse. Dunque studiare chitarra piuttosto che batteria o flauto non è una perdita di tempo. E se son rose fioriranno. Male che vada, dalla “semina” crescerà un individuo che nei suoi anni verdi ha avuto l’onore di frequentare un’arte, con un pezzettino in più di cultura, magari capace di stare con “interesse e beneficio” (non ultimo spirituale) in un auditorium. E non è dire poco.
Da qui la formazione da scegliere. Un suggerimento da casalinga di Voghera (chissà, da fanciulla avrà studiato violoncello): prima dell’iscrizione informarsi bene su chi c’è dall’altra parte della “barricata”. Tra i docenti preparati, appassionati, capaci di porsi in maniera adeguata ai bambini, a volte si scoprono “prof” che, insomma, considerano l’insegnamento come una facile macchinetta per far soldi. Controllare gli attestati, i metodi, le tariffe.
Resta l’ultimo ragionamento, l’obiettivo della scelta. Quasi inutile dire che Conservatori, Civiche e istituti parificati fanno la parte del leone, nel senso che offrono “scuole” organizzate, iter didattici a lungo collaudati, musica di insieme e condivisione. E questo non è dire poco.
Luca Pavanel