di Cesare Galla

Le lettere “di lavoro” di Gustav Mahler – a direttori d’orchestra, intendenti di teatri, compositori, critici, orchestrali, cantanti – rendono molto bene l’idea di come questo musicista abbia letteralmente consumato i trent’anni della sua vita professionale, dai primi passi nel 1880 alla morte nel 1911, in un lavoro matto e disperatissimo. Una significativa raccolta di questi scritti è ora disponibile in Caro collega (il Saggiatore 2017, pagg. 500, € 42,00). Si tratta di una testimonianza solo parziale della robustissima vocazione di Mahler alla pratica epistolare (è stato calcolato che potrebbe aver scritto dalle 3 alle 5 mila lettere, molte delle quali sono oggi considerate perdute), ma illumina come meglio non si potrebbe le incombenze del mestiere del direttore d’orchestra in un teatro d’opera nei paesi di lingua o nazione tedesca fra il tramonto del XIX e l’alba del XX secolo.

Almeno fino al 1897, da Kassel a Lipsia, da Budapest ad Amburgo, il kappellmeister Mahler, sicuramente “carrierista” ma anche dedito a una religione del lavoro artistico di assoluta integrità, si sottopone a un tour de force che appare oggi impressionante se non insostenibile. Talvolta gli si richiede di salire sul podio tutte le sere, con pochissime eccezioni, per lunghe settimane, dirigendo opere diverse e comunque altamente impegnative. Senza contare le prove, sulle quali Mahler non transigeva.

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Ecco un elenco esemplificativo, contenuto in una lettera da Amburgo al direttore del conservatorio di Budapest, Ödön von Mihalovich, del gennaio 1893:

«È incredibile quel che mi tocca dirigere allo stesso tempo. Per farLa ridere Le elenco ad esempio il mio repertorio delle prossime due settimane.

Lunedì 16: L’amico Fritz (Première)

Martedì (oggi) Siegfried


Mercoledì 18 L’amico Fritz

Venerdì 20 Tristan und Isolde

Domenica 22 L’amico Fritz

Lunedì 23 Fidelio

Martedì 24 Zauberflöte

Mercoledì 25 Lohengrin


Giovedì 26 Jolanta (opera di Čaikovskij)

Venerdì 27 Walküre

Sabato 28 L’amico Fritz

Lunedì 30 Bezähmte Wiederspänstige (opera di Götz)

Martedì L’amico Fritz! »

Fino a quando non gli riuscì la scalata alla direzione dell’Opera di Corte di Vienna, il massimo raggiungimento per un direttore, la vita di Mahler fu questa: otto-nove mesi in apnea in qualche teatro della provincia tedesca, tre-quattro mesi di vacanza (corrispondenti al periodo di chiusura estiva dei teatri stessi), che peraltro notoriamente  il musicista impiegava per realizzare la sua vocazione di compositore, più che per ricaricare le pile.

Ma del resto, la testimonianza è preziosa per cogliere la vastità e la ricchezza della vita musicale tedesca non solo nei grandi centri urbani ma anche nella provincia profonda, con teatri attivissimi un po’ dovunque e una conseguente ampiezza di occasioni professionali, oggi semplicemente inconcepibile.

Più in generale, dalle sue lettere “professionali” – la minuziosa curatela del volume, con utilissimi testi informativi e di raccordo biografico, si deve a uno specialista come Franz Willnauer; la traduzione è di Silvia Albesano – emerge il ritratto di un Mahler in certo modo diviso fra la correttezza nelle scelte artistiche, condotte con indubbio rigore nei comportamenti, e la tensione quasi spasmodica al conseguimento dei suoi alti obiettivi di carriera. Il risultato è da un lato l’evidenza di uno sguardo molto limpido e acuto sulle qualità artistiche nel mondo musicale tedesco, dall’altro la realizzazione di una pervasiva ragnatela di relazioni non di rado preordinate a scopi pratici, come il raggiungimento di migliori situazioni di lavoro o di anelate promozioni.

È un Mahler insieme ingenuo e cinico, quello che prende forma man mano che si segue il percorso cronologico di queste lettere. Insegue la sua idea di perfezione nell’interpretazione musicale, da un certo momento in poi si batte come un leone perché le proprie composizioni vengano riconosciute, senza abusare (troppo) della sua posizione, ma non esita a candidarsi con insistenza per i posti a cui aspira e per arrivare a Vienna mette in piedi una vera e propria strategia di raccomandazioni incrociate. Sempre rassicurando i propri corrispondenti sul fatto che nessun favore ricevuto sarebbe rimasto non contraccambiato. E non esitando a imbrogliare un po’ le carte e a mentire sulla delicata questione della sua conversione al cattolicesimo, ritenuta necessaria per lavorare all’Opera di Vienna. In una lettera con la quale cerca una raccomandazione, la dà per avvenuta addirittura anni addietro, quando invece il suo battesimo verrà celebrato solo dopo, pochi mesi prima di prendere servizio nella capitale asburgica. Del resto, il pragmatismo in nome della musica è quello che gli fa scrivere al giovanissimo Bruno Walter: «Se vuoi venire a Vienna, tagliati la barba e convertiti!».

Convertito e sbarbato ben prima del suo pupillo, Mahler prende in mano l’Opera di Corte viennese, nel 1897, dopo avere superato le resistenze di chi conosceva la sua ascendenza ebrea e la sua fama di “pazzoide”. Nell’arco di dieci anni – tanto resterà – ne rovescerà completamente tradizioni e perfino ritualità, spendendosi per la musica contemporanea con generosità assoluta e mettendo a fuoco programmi stagionali che alla tradizionale ampiezza di proposte uniranno una qualità sia esecutiva che progettuale mai vista prima e a lungo, probabilmente, dopo. Alla Vienna fervida e inquieta della “finis Austriae” ormai incombente, Mahler regalerà il Mozart più “filologico” mai ascoltato fino a quel momento – per quanto e ovviamente in tedesco – e il Wagner più integrale mai eseguito, annullando una tradizione di feroci tagli. Aprirà la strada a una nuova concezione del melodramma anche sul piano degli allestimenti. E realizzerà tante prime di autori italiani e tedeschi contemporanei, con Mascagni e Puccini in evidenza, perdendo la battaglia peraltro impossibile per la “scandalosa” Salome di Richard Strauss. Che tiene al corrente delle sue battaglie culturali così come dialoga con tanti musicisti sia delle nuove generazioni, a partire da Schoenberg per arrivare perfino a un giovanissimo Edgar Varèse, sia di quelle storiche, con Dvorák e Janacek fra gli altri.

Le lettere di questo periodo permettono di seguire anche la nascita e la difficile, sempre parziale affermazione delle sue Sinfonie, nei paesi tedeschi e in Europa. Qui, il rigore maniacale di Mahler come organizzatore di stagioni e direttore teatrale, tuttavia temperato da un certo pragmatismo, lascia lo spazio a un’intransigenza esclusiva, a un’assoluta indisponibilità a qualsiasi compromesso sulla qualità esecutiva. Un “braccio di ferro” costante, con gli organizzatori come pure con le orchestre e i loro direttori, non di rado fonte di amarezze profonde, ma tale da regalargli l’ebbrezza di riuscite epocali come le prime esecuzioni della Terza, della Quinta (a Colonia) e infine dell’Ottava (nel settembre del 1910, a Monaco).

Se in questa raccolta rimangono tutto sommato piuttosto oscuri i motivi della rapida rottura dei rapporti con Vienna e della sua uscita dall’Opera alla fine del 1907 (con ogni probabilità, ben più chiaramente lumeggiate nelle lettere “private”), molto interessanti sono le testimonianze americane degli ultimi anni. Un Mahler già gravemente malato dell’endocardite che lo condurrà alla tomba affronta la sua nuova vita musicale al di la dell’Oceano con il rigore di sempre, progressivamente piegato solo dal progredire della malattia e ciò nonostante impegnato a dirigere dai 40 ai 60 concerti per ogni stagione invernale. Avrà modo, fra l’altro, di misurarsi con il potente sindacato degli orchestrali, che gli mette i bastoni fra le ruote nel suo lavoro per acquisire alla Filarmonica di New York quelli che reputa i migliori elementi. Anche questo scontro era un sintomo della modernità che avanzava. Mahler non ha avuto in sorte nemmeno di intuirne le conseguenze.

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Cesare Galla

Cesare Galla

Scrive di musica dall'età di 20 anni, quando ancora seguiva gli studi musicologici nelle università di Bologna e Venezia, dopo il liceo classico. A 25 è diventato giornalista professionista e ha lavorato al Giornale di Vicenza come redattore, caposervizio e vice caporedattore fino al dicembre del 2014.Si è occupato di cronaca nera e bianca, di politica, di web e mondo digitale e soprattutto di spettacoli e cultura, guidando fino al 2012 le pagine ad essi dedicate. Contemporaneamente, ha sempre svolto la critica musicale, dal 1996 anche sul quotidiano veronese L’Arena. Negli ultimi 40 anni ha recensito migliaia di concerti e centinaia di rappresentazioni operistiche e ha pubblicato alcuni libri (sulle Sinfonie di Beethoven, sulla storia della Società del Quartetto di Vicenza, sul festival Settimane Musicali al teatro Olimpico, sulle rappresentazioni verdiane nel Veneto, raccontate attraverso cinque lustri di recensioni). Oggi collabora da "cronista di musica" e osservatore del mondo della cultura con Il Corriere Musicale, con il magazine culturale on line Doppiozero e con il quotidiano on line Tag43. Il suo sito personale d'informazione, musicale ma non solo, è www.cesaregalla.it.

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