di Simeone Pozzini foto © Brinkhoff/Mögenburg
Decadente, con un’ambientazione pre-fascista (dal punto della sceneggiatura) e richiami alla pittura di Grosz. Sicuramente borghese. È il Rigoletto verdiano che con la regìa di Bartlett Sher sta già facendo molto discutere. Si preannuncia quindi davvero interessante l’ultima premiere di stagione della berlinese Staatsoper Unter den Linden, in scena dal 2 giugno con repliche fino ad ottobre (l’ultima si terrà il 26). La direzione musicale sarà affidata a Andrés Orozco-Estrada e vogliamo citare Christopher Maltman nei panni di Rigoletto e Nadine Sierra nei panni di Gilda (a questo link tutto il cast).
È proprio Bartlett Sher ad indicare quali sono state le linee guida della lettura dell’opera: «Non credo che sia mio compito giudicare i personaggi, ma piuttosto rivelare chi sono». Ma ancora più interessante è la chiave sociale di grande attualità con la quale il regista statunitenste affronta tutta l’opera. Sono proprio le sue parole, in un’intervista con Benjamin Wäntig, a spiegarlo: «I dipinti di George Grosz rappresentano la decadenza in cui l’Europa centrale si trovava tra le due guerre mondiali. Non avevamo in mente un trasferimento diretto dell’azione all’epoca della Repubblica di Weimar, ma un legame con lo spirito di decadenza, con la libertà di movimento, ma anche con il disorientamento di quest’epoca. Oggi stiamo vivendo una dinamica simile negli Stati Uniti: non esiste più un accordo sociale di ampia portata sul bene e sul male. Questo è esattamente ciò che i dipinti di Grosz simboleggiano per me: non si sa chi c’è sopra e sotto o davanti e dietro e cosa significa. Inoltre, questi dipinti esplodono letteralmente di forza emotiva e impulsiva. Unendo tragedia e grottesco, Grosz si adatta perfettamente all’estetica verdiana. Un buffo clown, una delle più belle e potenti, una ragazza innocente – tutti avrebbero potuto nascere dalle inquietanti scene di strada di Grosz».