di Attilio Piovano foto © Alice Calypso
Straordinaria apertura di stagione per Lingotto Musica, la sera di lunedì 30 ottobre 2017, a Torino presso l’Auditorium di via Nizza progettato da Renzo Piano. Una serata tutta nel segno del Novecento russo, salutata da un successo a dir poco strepitoso da parte di un folto pubblico. Sul palco l’orchestra MusicAeterna ottimamente diretta dal suo fondatore, l’outsider Teodor Currentzis, per la prima volta nella città della Mole: orchestra di formazione relativamente recente, ma già agguerrita, impeccabile sul piano tecnico, bel suono, prime parti (quasi) inappuntabili e – soprattutto – una giovanilissima carica energetica da fare invidia a ben più consolidate formazioni. Suonano in piedi, i validi strumentisti (tutti tranne ovviamente i violoncelli e, chissà perché, i contrabbassi che invece di solito sono gli unici ad adottare tale ‘assetto’). La circostanza trova ragion d’essere forse nelle origini della formazione, sorta a Novosibirsk, ensemble di barocchisti (non) pentiti; certo, affrontando pagine del ’900 con un organico sinfonico, parrebbe un vezzo, una scelta provocatoriamente eccentrica; e invece la faccenda finisce per riverberarsi in maniera positiva proprio sul tipo di suono. Gli archi in particolare, che ‘ancheggiano’ e ondeggiano un po’ disordinatamente come bionde spighe di grano sferzate dal vento, a cominciare dall’iper-cinetico primo violino (sobbalza, avanza e poi retrocede, scuote la chioma fluente, sventola l’archetto con malcelata teatralità e via dicendo), nel loro complesso rivelano una scioltezza e un vitalismo che s’impongono senz’altro: pur facendo la tara su quanto può giocare in tal senso l’effetto visivo.
E allora ecco in prima posizione di Šostakovič il Secondo Concerto per pianoforte e orchestra (l’op. 102 in fa maggiore) affidato alle mani del talentuoso pianista russo Alexander Melnikov; solida tecnica, sorvegliato controllo del suono, gusto e appropriatezza stilistica fin dall’insidioso Allegro dagli acuminati profili, innervato di ritmi di marcia, angolose atmosfere non estranee a certo Stravinskij e vaghi echi folklorici, rivisitati con quel gusto per l’oggettivazione che di Šostakovič è una vera firma. Poi – dopo la scanzonata brillantezza di questo giocoso primo tempo – come per par condicio, ecco l’abbandono alla toccante cantabilità dell’Andante, vero centro espressivo del Concerto, impregnato di lirismo smaccatamente novecentesco: un lirismo memore di trascorsi romantici, contemplati pur tuttavia con occhio benevolo e un filo di nostalgia come per un ormai irraggiungibile Paradise Lost: al pari di quanto accade nel raveliano Concerto in sol; un lirismo per il quale occorrono intelligenza e sensibilità, millimetrico dosaggio delle dinamiche e così pure dei timbri, eleganza di tocco e abilità nel giocare sulle sfumature coloristiche. Tutte doti che non difettano certo a Melnikov; ben assecondato dall’orchestra, si è poi fiondato con esuberanza, temperata da un pizzico di ‘prudenza’, nello scintillante Finale: trascinante corsa a briglie sciolte salutata da una vera e propria ovazione del pubblico. Melnikov ha risposto di buon grado, regalando ancora una pagina (verosimilmente di Skrjabin) quale gradito bis. Più che accettabile l’intesa tra direttore e solista anche se, invero, sembrano avere una concezione non già diametralmente opposta, ma certo dissimile della pagina: il che può anche rivelarsi dialetticamente positivo.
Currentzis – gesto immaginifico, generoso, incisivo e talora coreograficamente plateale, ma pur sempre finalizzato, e simbiotica intesa coi ‘suoi’ strumentisti – ha poi proseguito l’esplorazione del Neoclassicismo offrendo una levigata e al tempo stesso attraente interpretazione della celeberrima Sinfonia Classica: frutto già sorprendentemente maturo di un Prokof’ev appena venticinquenne. Ed è stata una bella ‘vetrina’ per la giovane orchestra che ha rivelato senza ombra di dubbio di averla nel DNA la musica russa, sfoderando tutto il suo appeal. E allora dallo slanciato primo tempo che irrompe con brio, giù giù sino all’euforia irrefrenabile del Finale, è stato tutto uno zampillare di ritmi e luccicanti immagini. Quanta grazia poi nel cerimonioso Intermezzo, reso con garbo, misura e humour senza eccessivi compiacimenti né inutili manierismi, così pure la compassata Gavotta che, col suo smagato charme, già lascia presagire l’impetuosa verve del finale al fulmicotone. A voler essere severi, forse si può imputare a Currentzis talora una certa compressione delle dinamiche che ha in parte, ma solo in parte, attenuato un poco l’enorme carica della composizione, ed è peccato veniale.
Il clou della serata con la concisa Nona Sinfonia di Šostakovič, pagina costellata di croccante ironia, quasi il contraltare della Sinfonia Classica di Prokof’ev, col suo richiamarsi con libertà allo spirito di Haydn. E qui i giovani di Novosibirsk hanno davvero superato se stessi. La Sinfonia ha tempi veloci «dagli atteggiamenti clowneschi» che occhieggiano «all’umorismo rossiniano» e al côté più leggero di Čajkovskij. E dunque l’Allegro del quale Currentzis ha ben colto il lato sardonico e un certo spirito circense, parodistico, senza però eccedere nelle smargiassate cui altri direttori indulgono. E così ecco che sono emersi mille dettagli della tramatura talora cameristica; per contro il colore livido e stralunato del Moderato giocato sull’evocazione d’un Valzer dal ritmo instabile, coi clarinetti traslucidi ben in vista, a delineare un clima assorto, come di rarefatta sospensione. Poi il luminescente Presto, ‘graffiante’ Scherzo dal caricaturale Galop, eseguito a velocità incredibile, quasi senza sbavature a porne in luce la smagliante policromia. Che gioia ascoltare il nitore delle trombe e la mitraglia delle percussioni. Brividi ed emozioni nel breve Largo di intensa drammaticità con l’apparizione fantasmatica degli ottoni, quasi a richiamare le musorgskijane Catacombe, e l’acidulo rapsodiare del fagotto; da ultimo la Sinfonia riprende quota decollando nel conclusivo Allegretto, pagina che con le sue burlesche sortite ricalca certi tratti della Prima Sinfonia e la Polka scritta per il film La giovinezza di Maksim innescando inevitabilmente l’applauso. Aria di festa, chiamata sul proscenio delle prime parti (un po’ buffa, con un pizzico appena di stravagante provincialismo, ma ci stava), giovanili abbracci e commozione reciproca. Infine, introdotto dalle parole di Currentzis in uno spigoloso inglese, sognante bis dalla Suite della Cenerentola di Prokof’ev.
Davvero un buon inizio, per la stagione del Lingotto. E dunque, come si suol dire, chi ben comincia… Che sia di buon auspicio.