di Mario Martinoli
Mio padre, jazzista, aveva una cospicua discoteca. La mia curiosità di ragazzo nato e cresciuto in mezzo alla musica mi portava spesso a frugare nei suoi long-playing. E nella discoteca c’era anche molto, moltissimo Bach. L’organo di Helmuth Walcha che pomposamente annunciava l’inizio della Toccata e Fuga in re minore, l’Orchestra da Camera di Stoccarda con le orchestrazioni dell’Arte della Fuga, perfino Karajan con i suoi possenti brandeburghesi. Fu così che un giorno, a metà degli anni ’70, mi imbattei per caso (anche se, lo sappiamo, il caso non esiste), in un cofanetto color porpora, grande e lucido. Ancora Bach, ancora i brandeburghesi. Ma un nuovo interprete: Gustav Leonhardt aveva fatto ingresso nella discoteca. Quello che accadde dopo quell’ascolto potete immaginarlo: l’immediata passione per un nuovo modo di suonare la musica di Bach, un approccio lucido e poetico, vivo e presente che da allora avrei poi scoperto nelle sue mille facce nascoste dentro altri innumerevoli long playing: Louis Couperin, Frescobaldi, Froberger, Rameau, Scarlatti, e soprattutto Bach. E fu proprio grazie a quei primi ascolti che decisi, a 13 anni, di abbandonare il pianoforte e studiare il clavicembalo.
Questo per me è stato Gustav Leonhardt, e credo lo sia stato, in modi e forme differenti, anche per tutti coloro che hanno cominciato in quegli anni il faticoso ed incerto studio del clavicembalo. Arrangiandoci come potevamo, in assenza di scuole e di maestri, la musica di Leonhardt diventava per tutti noi la guida, il modello da imitare, il nutrimento spirituale. Ed anche se poi le mode hanno relegato il suo pensiero ed il suo spirito nell’ombra delle biblioteche e degli archivi, nessuno di noi può dimenticare che è grazie a lui che oggi, a migliaia, abbiamo riscoperto la gioia di sedersi davanti alla tastiera di un clavicembalo.
Grazie Gustav, mi mancherà il saperti da qualche parte in Italia o in Europa a tenere qualche concerto, ma certamente la musica che ci hai regalato in tutti questi anni mi accompagnerà per sempre.
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Leonhardt è stato un vero e proprio pioniere del rilancio della musica barocca (addirittura ha interpretato Bach in un film del ’67). Spaventoso il numero di album da lui registrato: oltre trecento!
Ho avuto occasione di ascoltarlo a Massa Marittima, al concerto da lui tenuto presso il museo di organi antichi: ricordo di aver sentito fraseggi stupendi e una musicalità travolgente, non come i soliti “musicanti” che suonano tutto metronomicamente e con freddezza. Ho capito che la musica sgorgava dal suo cuore, e per questo lui era un vero musicista! Lo ringrazio un’ultima volta, per l’emozione che mi ha donato attraverso quella che Schopenhauer chiama la più alta delle arti: la musica.
Matteo Albergante, organista della basilica di Madonna di Campagna in Verbania
Gentile Michelangelo Lapolla, grazie per questo suo prezioso intervento.
Un grande dolore per chi come me lo ha seguito decine di volte dal vivo, “divorato” i suoi dischi, e avuto la fortuna di conoscerlo personalmente ricavandone la sorpresa di una persona austera ma anche molto gentile e spiritosa.
A livello musicale i suoi fraseggi e stacchi dei tempi riflettono intuizione e sensibilità che non hanno eguali.
Da fonte certa ho saputo pochi giorni fa della sua scelta di interrompere con sofferenza ma con grande serenità, insieme alla carriera concertistica, l’assunzione di medicinali: ennesimo esempio di coerenza e signorilità: “con la mia musica me ne vado anch’io”, sembra aver voluto dire. E’ una cosa che mette i brividi a chi come noi tenta invano di fare della musica la sua vita: Leonhardt c’è riuscito fino in fondo!
Perdiamo un luminoso punto di riferimento e un fulgido esempio di serietà e perseveranza nelle scelte artistiche.
Lo vedo in cielo al fianco del divino Bach del quale è stato l’interprete più grande, lo accompagno con dolore, affetto, preghiere e riconoscenza!
Michelangelo Lapolla – Lodi