Il controtenore sul palcoscenico del Teatro Argentina con il violoncellista Jonathan Manson e il cembalista Laurence Cummings
di Simone Ciolfi foto © Ealovega
INUTILE NEGARE CHE ANCORA OGGI, per di più nella nostra società razionalista, il valore perturbante di una voce acuta proveniente da un corpo maschile si manifesta intatto. Tale valore è in parte dovuto al fatto che quella voce non appartiene all’usuale registro maschile, ma dipende anche da un inganno psichico che il teatro antico conosceva bene: deformare il corpo e la voce (altezza e grandezza dell’attore, suono della voce modificato dalla maschera, che appunto ‘per-sonat’, risuona), equivale a dar vita a figure sacre, non umane, autorizzate a portare messaggi di altri mondi. Quando poi i messaggi ci giungono dall’universo delle nostre emozioni, il dio che parla è sempre Amore.
La citata combinazione di perturbante e sacrale è tornata a esercitare la sua magìa al Teatro Argentina di Roma la sera di giovedì 22, grazie al concerto, programmato dall’Accademia Filarmonica Romana, del controtenore Tim Mead, accompagnato al violoncello da Jonathan Manson e al cembalo da Laurence Cummings. Le sfumature e l’interpretazione data da Mead alla musica di Purcell e di Dowland sono state magnifiche: la combinazione di intimità e timida eleganza, tipica dei due compositori inglesi, è stata evidenziata dalle particolarità della voce di Mead, che sembra tenue eppur arriva ovunque, delicata eppur capace di regalare tanti piccoli gioielli espressivi all’ascoltatore.
Agile e chiaro nelle fioriture, dotato di una messa di voce che rende con delicatezza la piena delle emozioni, Mead ha interpretato magistralmente anche la giocosità e l’arguzia delle brevi cantate di Händel, restituendoci tutta la galanteria, la giocondità di quelle composizioni, salottiere sì, ma pur sempre sagaci e profondamente sagge. Perché la poesia del Settecento è spesso tacciata di superficialità (un pregiudizio nato nell’Ottocento e duro a morire) ma è in realtà ‘leggera’ in senso calviniano, profonda senza essere grave e pesante, ripetitiva nei temi ma sempre argutamente nuova nella loro resa. Si tratta di un’eredità petrarchesca di lunga data, che la poesia italiana rifiuterà solo nel Romanticismo. Tale eredità appartiene anche ai testi monteverdiani e frescobaldiani, dei quali il gruppo si è dimostrato ottimo interprete.
Manson e Cummings ci hanno regalato anche il raro ascolto di una sonata per violoncello e cembalo di Francesco Geminiani, composizione eseguita con un’interpretazione vocalista di gran pregio. Il violoncello di Manson non ha nulla di invidiare alla voce di Mead. Gustoso anche l’ascolto della Passacaille di Händel tratta dalla Suite n. 7 per cembalo, eseguita dall’ottimo Cummings.