È uscito in edizione italiana “Dalla nota al suono”, il pregevole volume che lo studioso francese François Delalande ha dedicato ai rapporti tra le innovazioni tecnologiche e i vari generi di creazione musicale dalla metà del Novecento a oggi.
di Patrizia Luppi
Che cos’è il suono? È impresa ardua rispondere esaurientemente all’interrogativo che lo studioso francese François Delalande pone in apertura del suo libro Dalla nota al suono. La seconda rivoluzione tecnologica della musica, uscito in traduzione italiana per l’editore FrancoAngeli (Milano, 2010, € 28). Né l’acustica né la musicologia classica, le prime discipline a cui ci si rivolge per un riscontro, riescono a dare una definizione soddisfacente del suono «come risultante che integra diversi elementi: (…) i timbri, gli attacchi, i profili, gli indici d’esecuzione e di elaborazione, la collocazione nello spazio, talvolta la registrazione». È dunque un concetto nuovo quello da circoscrivere, benché nella realtà nuovo non sia affatto: si parla del “suono” che quando accendiamo la radio ci fa cogliere in pochi istanti indizi fondamentali sulla musica che ascoltiamo, anche se non sappiamo riconoscerla; del “suono” che rende inconfondibile un artista jazz o pop, un’orchestra o un violinista; del “suono” come fenomeno composito, parametro determinante per i compositori d’oggi di musica colta come per i gruppi di musica barocca, tanto per i dj quanto per i jazzisti e, in definitiva, per ogni attore del fatto musicale.
La disamina iniziale di Delalande conduce senza soluzione di continuità al fulcro del libro: come nel Medioevo la scrittura della musica aveva portato a una prima «rivoluzione del supporto», influenzando radicalmente la stessa attività creativa (inconcepibili senza l’ausilio della scrittura le complessità della polifonia quattrocentesca) e dando la centralità a un elemento fondamentale, la nota, così il ventesimo secolo ha visto una seconda rivoluzione – quella legata appunto al suono – che si identifica con l’approdo alla riproducibilità della musica e quindi alla possibilità di conservarla, trasmetterla e, grazie alle successive scoperte tecnologiche, di manipolarla e accedere a possibilità creative del tutto inedite. E non soltanto nel campo dei compositori di professione, visto che un numero enorme di appassionati, in gran parte digiuni di ogni regola teorica, oggi si dedica da casa e sul proprio computer a creare musica. Un fenomeno su cui riflettere senza rigidità e senza pregiudizi, considerando anzi quanto questa nuova possibilità di accedere alla musica direttamente, senza la necessità di un bagaglio teorico apra prospettive inedite e molto promettenti in ambito scolastico.
La validità anche in campo didattico della riflessione di Delalande, tra l’altro noto esperto del settore, ha indotto FrancoAngeli a pubblicare l’edizione italiana del volume (a cura di Maurizio Disoteo) in una collana che si dedica a proporre modelli e informazioni utili per il lavoro educativo: “Idee e materiali musicali” a cura del Centro Studi Musicali e Sociali Maurizio Di Benedetto. Molti i pregi del denso libro, che a sostegno della tesi centrale concentra in poco più di 200 pagine una messe ricchissima di sottili riflessioni, spunti, notizie, per non dire delle lunghe interviste a personaggi dei più diversi campi e mestieri della musica, e molto altro ancora (elementi di analisi, schemi, immagini e via dicendo), muovendosi tra i vari generi – tra la musica classica e quella barocca con le sue peculiarità esecutive, tra il jazz e il pop e il rock, tra la techno e la composizione contemporanea accademica… – in modo organico e con vivacità di pensiero.
Se un appunto si può muovere a questa edizione, è il ritardo con cui viene diffusa rispetto all’originale francese (Le Son des Musiques. Entre technologie et esthétique, INA Buchet-Chastel, Pierre Zech Éditeur, Paris 2001). Quando il discorso si incentra su supporti sonori e nuove tecnologie, ormai ci si ritrova sempre inevitabilmente in ritardo rispetto a quanto di innovativo è stato escogitato un attimo prima; figuriamoci una decina d’anni dopo. All’inconveniente ha cercato di rimediare l’editore milanese sfrondando le interviste e introducendo nuove riflessioni nel capitolo finale, significativamente intitolato “Verso quale società musicale?”. In ogni caso, la validità del discorso di François Delalande non è legata alla fugace esistenza di un mezzo tecnologico piuttosto che di un altro o alla concretezza, in continua rapidissima evoluzione, del fare musicale: la “seconda rivoluzione” è avvenuta, oggi si crea una nuova fase della storia, e il merito di Delalande è quello di offrire sostanza e stimolo alla nostra riflessione.